BOLOGNA – La settimana scorsa abbiamo parlato della “Bibliotheca semiologica curiosa lunatica magica et pneumatica”, l’impressionante quanto bizzarra collezione di libri antichi di Umberto Eco, acquistata dalla Biblioteca Braidense di Milano. Ma dove andrà invece il resto dei libri dello studioso?
Se infatti i volumi custoditi a Milano sono quelli più di maggior interesse per gli storici e gli antiquari (e anche quelli più di maggior valore economico, anche non è stato comunicato a quale prezzo siano stati venduti), da un certo punto di vista non sono affatto la parte più significativa della biblioteca personale di Eco.
Il grosso della collezione, circa 30.000 volumi, sarà infatti ospitato dalla Università di Bologna, che sta costruendo a questo scopo un’ala della biblioteca dedicata ad “Umberto Eco” nella centralissima piazza Puntoni, in piena zona universitaria.
La scelta non è casuale: all’Alma Mater, Umberto Eco insegnò per decenni, figurando tra l’altro tra i fondatori del primo corso di laurea DAMS (Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo) d’Italia, che proprio nel 2021 compie cinquant’anni. Il rettore dell’Università, Francesco Ubertini, commenta: “Il professor Eco torna a casa”.
I libri custoditi a Bologna saranno disposti rispettando l’organizzazione adottata dallo stesso Eco; l’archivio conterrà inoltre gli appunti, le schede di lettura e i taccuini manoscritti dello studioso. In questo modo, continua Ubertini, “potremo misurare con precisione cosa Eco ha letto in ogni momento della sua carriera”, ripercorrendo “quell’universo di pensiero che Eco ha costruito lungo tutta la sua vita”.
La collezione ha quindi un enorme valore filologico: sarà una fonte preziosa per studiare quello che è senza dubbio uno dei personaggi più importanti della letteratura e dell’accademia italiane negli ultimi cinquant’anni almeno.
E tuttavia, questo ammasso di carta ha un fascino che non si limita alla sua utilità pratica. La biblioteca di Umberto Eco, infatti, è un luogo enormemente suggestivo, verrebbe quasi da dire mitico. Il motivo più immediato sta sicuramente nel fatto che Eco, nel “Nome della rosa”, ha creato una delle biblioteche più famose della storia della letteratura (ispirata tra l’altro, secondo qualcuno, alla Fisher Library di Toronto).
Ma ci sono anche altri aspetti che legano in maniera viscerale Umberto Eco alla sua biblioteca personale: innanzitutto le foto iconiche che lo ritraggono su una scala a pioli, oppure seduto alla scrivania, ma sempre circondato dai suoi libri (esistono anche dei video dove la telecamera lo segue mentre si inoltra in un labirinto di scaffali, ed è un’esperienza quasi da capogiro).
E poi gli aneddoti sui visitatori (“imbecilli”, come li etichetta sbrigativamente il professore) che, confusi da quelle muraglie di libri, gli chiedevano: “ma li hai letti tutti?”; al che Eco, a suo dire, era solito rispondere malignamente: “No, quelli che ho già letto li tengo all’università, questi sono quelli che debbo leggere entro la settimana prossima”.
In realtà, ovviamente, molti di quei volumi Eco non li aveva e non li avrebbe mai letti. Perché, precisava, per uno studioso la libreria non è un semplice contenitore, ma uno strumento di lavoro; dunque bisogna procurarsi anche libri che magari non si leggeranno mai, che all’occorrenza sono là. Ma anche perché, sempre secondo il professore, è opportuno circondarsi di libri non letti, anzi sconosciuti: un modo per riservarsi la sorpresa di scoprirli inaspettatamente, e anche per ricordarsi, socraticamente, di tutto ciò che non si sa.
E infine perché, come ricordava con il suo inimitabile gusto per il paradosso, “una biblioteca di casa non è solo un luogo in cui si raccolgono libri: è anche un luogo che li legge per conto nostro.”
Per tutti questi motivi la notizia che la biblioteca di Umberto Eco ha finalmente trovato una casa ha un significato particolare.
E poi, c’è anche un’ultima considerazione. In una conversazione sulla memoria (la si trova ancora su Youtube), Eco sosteneva che la memoria è anima, e parlava di libri e biblioteche come di una “memoria vegetale”: una grande banca dati fatta di alberi morti sui quali trasferiamo i nostri ricordi collettivi. E forse conservare intatta la biblioteca di Umberto Eco, le migliaia di volumi che lui ha accumulato, sfogliato, scritto, letto, non letto, vissuto, è un po’ conservarne l’anima.