Canada

“Il blocco ai confini stava
provocando danni irreparabili
alla nostra economia”

TORONTO – La decisione di attivare le leggi d’emergenza non maturò solamente per ragioni di sicurezza nazionale, ma anche per motivi di carattere strettamente economico. A dichiararlo è stata ieri Chrystia Freeland durante la sua deposizione giurata davanti alla commissione d’inchiesta pubblica sull’Emergencies Act di Ottawa. Il ministro delle Finanze, nella sua testimonianza, ha ribadito come la dura protesta ai valichi di confine tra il Canada e gli Stati Uniti stesse provocando un danno economico senza precedenti. “Ogni giorno che passava – ha dichiarato – si accumulavano danni irreparabili alle relazioni commerciali tra il Canada e gli Stati Uniti”. E questo aveva luogo in un contesto economico estremamente volatile e fragile, con gli Stati Uniti che proprio tra gennaio e febbraio si stavano preparando a rinvigorire alcune misure protezionistiche verso le quali il Canada era pronto a rispondere duramente: la chiusura dei confini avrebbe messo Ottawa in una posizione di debolezza verso Washington.

“Le mie preoccupazioni – ha aggiunto il vice primo ministro – andavano ben oltre il danno economico immediato che le proteste contro le misure di salute pubblica Covid-19 stavano causando al Canada. Non è stato solo il danno immediato. Il pericolo era rappresentato anche dal fatto che eravamo in procinto come paese di fare danni passivi a lungo termine, precoci e irreparabili alle nostre relazioni commerciali con gli Stati Uniti”.

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden era nel bel mezzo di una spinta protezionistica e stava analizzando le sue catene di approvvigionamento per potenziali vulnerabilità.

“Ho potuto vedere davvero per la prima volta in assoluto gli americani che avevano parecchi dubbi verso il Canada”, ha spiegato Freeland.
In una email con il funzionario pubblico del dipartimento delle finanze, Michael Sabia, l’11 febbraio, Freeland ha trasmesso i dettagli di una conversazione che aveva appena avuto con Brian Deese, che è il direttore del Consiglio economico nazionale degli Stati Uniti.

Durante quella conversazione, Freeland ha scritto nell’email, Deese aveva riferito che gli Stati Uniti erano “molto preoccupati” per il blocco delle frontiere in corso all’Ambassador Bridge di Windsor, in Ontario. “Se questo non viene risolto nelle prossime 12 ore, tutti i loro impianti automobilistici nord-orientali chiuderanno”, ha scritto. “È stato un momento in cui ho capito, come paese, in qualche modo, che dovevamo trovare un modo per porre fine a tutto questo”, ha detto il vice primo ministro.

La protesta del “Freedom Convoy” è arrivata in un momento in cui il Canada stava affrontando una serie di complesse questioni finanziarie. “È stato un momento davvero difficile per l’economia canadese”.

Quando è iniziato il blocco dell’Ambassador Bridge, Freeland ha sostenuto che il governo stava vagliando tutti gli strumenti possibili per porre fine alla crisi.

Dopo un’attenta valutazione, l’unico modo per uscire dal tunnel è stata la decisione di attivare la legislazione d’emergenza, che dava poteri speciali temporanei alla polizia e alla magistratura.

Oggi è attesa la testimonianza del primo ministro Justin Trudeau.

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