Italia

I migliori ambasciatori
del nostro Paese

Prosegue la pubblicazione, in dieci puntate sia in Italiano che in Inglese, della presentazione accademica che il nostro collaboratore periodico Goffredo Palmerini ha tenuto all’Aquila il 3 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea CRAM (Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo). La relazione si intitola “Cenni storici sull’emigrazione italiana” e ripercorre la storia della nostra Diaspora.

L’AQUILA – Non è un mistero che in Patria, per l’appunto, le nostre abitudini risentano talvolta di antichi vizi, e si stenta ancora ad affermare uno Stato con autentiche pari opportunità per tutti, nei diritti ma anche nei doveri, dove leggi e regole dell’organizzazione sociale presiedano rigorosamente al comportamento individuale nella pratica di ogni giorno, ma anche nella coscienza civile diffusa di tutti i cittadini. Quando questo non avviene, e talvolta i cattivi esempi vengono proprio dalla classe dirigente, di noi all’estero invale un concetto non proprio gradevole e con severità siamo giudicati un’Italietta, piuttosto che il grande Paese che meriteremmo di essere se ci emendassimo da certi comportamenti non proprio commendevoli.

Questo non accade per i nostri connazionali all’estero, perché dell’Italia offrono, con il loro comportamento e le testimonianze di vita, un’immagine seria ed affidabile, confermandosi essere i migliori ambasciatori del nostro Paese nel mondo.

E tuttavia, in Italia, nella mentalità di larga parte del Paese e della sua classe dirigente, continuano a persistere stereotipi e paternalismi verso i connazionali all’estero, che segnano un deficit di conoscenza del fenomeno migratorio italiano, così limitando le opportunità di valorizzarlo come risorsa d’inestimabile qualità su cui investire. Per chi abbia un minimo d’interesse vero, e d’umiltà, l’avvicinarsi alle nostre comunità all’estero permette di scoprire un patrimonio inimmaginabile di risorse umane, professionali ed imprenditoriali, di valori civili impersonati ed incardinati nelle società dei Paesi d’emigrazione che porta loro una messe di riconoscimenti, guadagnati sul campo in decenni d’impegno competitivo, talvolta contro supponenze e pregiudizi.

Oggi gli italiani all’estero sono considerati per il loro valore umano, sociale, creativo ed intellettuale. Hanno raggiunto risultati importanti in ogni campo: nel lavoro, nelle imprese e nei ruoli di responsabilità che espletano nei Paesi in cui vivono. Le generazioni successive alla prima emigrazione, oggi, esprimono una schiera di personalità emergenti in ogni settore della vita sociale e civile, dall’imprenditoria alle professioni, dall’economia alle università, dalla ricerca alla politica.

Ma torniamo al tema. Quando nel secondo dopoguerra si riaprì l’emigrazione e si ripresentarono problemi e difficoltà analoghi a quelli riscontrati a fine Ottocento, ancora una volta si commise l’errore di considerare l’emigrazione di massa come strumento per alleviare la disoccupazione e non si pensò che occorreva togliere subito all’agricoltura l’ancestrale carattere di occupazione non sufficientemente remunerata ed oppressa da intollerabili gravami; che occorreva non disperdere l’artigianato, che occorreva superare le barriere che avevano privato tante popolazioni, e per lungo tempo, della cultura e della formazione professionale. Insomma, si ricadde negli stessi errori, quando di quel salasso di forze non si riusciva a tenere conto, neanche dal punto di vista statistico, mentre era lo specchio della persistenza degli squilibri economici d’uno Stato ancora territorialmente incompiuto, specie nel Meridione. Tutto veniva rimesso all’iniziativa privata, nella speranza che fosse in grado di approntare nuove opportunità di lavoro.

(secondo capitolo – continua…)

La foto in alto è “Aula di una scuola elementare”, tratta dal libro “La Merica. Emigrazione dei Monteleonesi verso gli Stati Uniti dal 1882 al 1924” di Antonio De Vitto

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