Il Commento

Guerre Stellari: la vendetta
di Google, come nel film

TORONTO – “Di punto in bianco”, Google ed i giganti della tecnologia stanno respingendo le iniziative del governo per correggere gli squilibri creati dagli imperi digitali globali tra le imprese di comunicazione nazionali e locali.

Google ha annunciato, il 5 febbraio, che avrebbe eliminato 12.000 posti di lavoro in Canada. Non ha detto dove o quando. Meta/Facebook aveva precedentemente minacciato di bloccare l’accesso alle sue piattaforme.

La loro preoccupazione? Due atti legislativi: Bill C-11 e Bill C-18, Online Streaming Act, Online News Act e Digital Charter Implementation Act. I giganti del web li considerano entrambi nemici dei loro interessi economici. Vogliono che il governo faccia “marcia indietro”.

Il Canada non è solo in questo gioco di poker ad alto incasso. Diversi Paesi, tra cui – ma non solo – Australia, Francia e Italia, hanno avviato iniziative o adottato misure per mitigare ciò che alcuni tra i loro cittadini considerano pratiche predatorie nel campo della creatività, della pubblicità e del giornalismo.

Potrebbe sembrare una descrizione eccessiva per alcuni. Non sta a noi fare moralismi, ma solo sottolineare che le questioni sono sufficientemente gravi, a tal punto che i governi stigmatizzano le strategie di spostamento del reddito all’estero per evitare di pagare le tasse, risucchiando i dollari ricavati dalla pubblicità fuori dal Paese ed esternalizzando il lavoro di progettazione. Questi sono anche la linfa vitale del giornalismo e l’analisi critica per il dibattito pubblico.

Il Canada sta adottando come soluzione il modello australiano: sostanzialmente costringendo i Tech Giants (i giganti del web) a negoziare con qualificate imprese giornalistiche per remunerarle con una percentuale fino al 25% dei loro costi redazionali – da determinare secondo criteri prestabiliti. È un processo lento che potrebbe portare alla decisione del governo, tramite la sua agenzia, la CRTC, entro nove (9) mesi.

I francesi hanno finora optato per un risarcimento commerciale in Europa: 500 milioni di dollari in “tasse non pagate”. Gli italiani hanno avviato un modello in Italia, e per il Parlamento Europeo, che prevede un rimborso fino al 70% per la produzione e la riproduzione delle notizie, su un periodo di novanta giorni (90 giorni).

Google, Meta/Facebook ecc. possono argomentare a favore di una politica di non-intervento, ma a loro non viene affidata la necessità di salvaguardare o promuovere il benessere del pubblico. Ai governi, sì.

Una proposta di legge come il Bill C-18 serve i bisogni dei canadesi e rafforza gli obiettivi politici del governo associati alla “costruzione” della Nazione ed al rafforzamento dei fondamenti attraverso i quali condividiamo valori comuni o costruiamo obiettivi materiali e politici a beneficio di tutti.

In generale, i governi lungimiranti cercano di espandere le opportunità associate a risultati positivi in ​​questo senso e di mitigare le sfide che la società incontra, mentre si trasforma da un’era di comunicazioni culturali all’altra.

La rapida crescita ed espansione delle tecnologie digitali è una di queste sfide. È diventata una questione di interesse pubblico praticamente ovunque nel mondo.

Il ministro per il Patrimonio Canadese ed il suo collega, il ministro per l’Innovazione, la Scienza e l’Industria, sono d’accordo. In una lettera lunga nove pagine al [nuovo] presidente della CRTC, datata 3 febbraio, sottolineano che queste sfide possono “minare la nostra cultura, radicare la disuguaglianza e l’ingiustizia nella società e mettere a repentaglio la democrazia”.

Stanno parlando di comunicazioni, libertà di parola, trasparenza, fattibilità economica e politica. Più in particolare, esprimono il timore che i monoliti digitali possano arrogarsi le risorse creative e finanziarie su cui le piccole e medie imprese di comunicazione come i membri del NEPMCC (National Ethnic Press and Media Council of Canada) fanno affidamento per sopravvivere.

Non è un problema da poco. Lasciati fuori controllo, i Tech Giants potrebbero causare la fine della stampa e dei media multilingue e multietnici. Le comunità etnoculturali e multilingue (così come le comunità geografiche), a cui i membri del NEPMCC si rivolgono con notizie e analisi adeguate al loro processo di integrazione, potrebbero avere vita breve.

Tuttavia, secondo l’ultimo censimento del 2021, quel segmento della popolazione che non si identifica né come aborigeno/prime nazioni, né inglese né francese, comprende poco meno del 25% della popolazione totale. È l’unico in crescita, numericamente.

Politicamente, sono indispensabili per la crescita e lo sviluppo del Paese.

Foto di Firmbee.com su Unsplash

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