TORONTO – Governo federale al lavoro, con il focus sui dazi ma con il pensiero rivolto alle prossime elezioni. È su questo doppio binario che si è sviluppata l’azione dell’esecutivo sin dalle sue primissime ore, dopo il giuramento davanti alla governatrice Mary Simon di venerdì.
Il nuovo primo ministro Mark Carney ha inaugurato il suo mandato con una mossa dal chiaro sapore elettorale, l’eliminazione tout court della Carbon Tax, una misura che stando a tutti i sondaggi degli ultimi mesi non trovava alcun tipo di sostegno nell’elettorato canadese.
Nella creazione del suo primo governo l’ex governatore di Bank of Canada ha mandato in naftalina la parità di gender – 13 ministri uomini e 11 donne – ha drasticamente ridotto il numero di ministri e nella distribuzione degli incarichi ha premiato soprattutto i deputati provenienti dalla GTA e dal Quebec, le due zone del Paese dove saranno decise le prossime elezioni federali.
Ieri il primo ministro è partito per la sua prima visita ufficiale all’estero: oggi incontrerà il,presidente francese Emmanuel Macron a Parigi, mentre la seconda tappa sarà a Londra per un meeting con il premier inglese Keir Starmer, prima del ritorno in Canada martedì sera.
Contemporaneamente si avvicina la data della riapertura del parlamento federale: il 24 marzo i deputati torneranno alla House of Commons dopo i due mesi di stop imposti dalla prorogation voluta dall’ormai ex primo ministro Justin Trudeau.
E con il cambio di guardia si entra in una fase carica di incertezza nella politica canadese. È del tutto evidente che Carney vuole andare al voto anticipato il primo possibile. In poche settimane, con l’uscita di secna di Trudeau, i liberali sono tornati ad essere competitivi e la guerra commerciale con gli Stati Uniti avrebbe convinto tanti canadesi a voltare alle spalle al leader conservatore Pierre Poilievre per favorire una personalità autorevole come l’ex governatore di Bank of Canada e della Banca Centrale inglese.
Non un politico di professione, ma un economista che ha già lavorato in ambienti turbolenti in fasi storiche molto delicate, come quella della recessione del 2009 o la Brexit inglese. Stando a due sondaggi pubblicati ieri, tra liberali e conservatori è testa a testa. Secondo Abacus Data i tory godrebbero ancora di 4 punti di vantaggio percentuale sui liberali, ma nell’ultimo mese avrebbero buttato al vento circa il 20 per cento.
Secondo Mainstreet Research, invece, il Partito Liberale raggiunge quota 41 per cento, i conservatori si fermano al 39 per cento mentre il dato rilevante è rappresentato alle intenzioni di voto per l’Ndp, appena l’8 per cento del campione, un dato che inchioderebbe il leader neodemocratico Jagmeet Singh alla totale irrilevanza politica.
L’ipotesi più probabile, visto quello che sta succedendo, è che questo governo non avrà nemmeno bisogno di passare alla prova del voto alla Camera, perché Carney potrebbe chiedere lo scioglimento del parlamento prima del 24 marzo, con il conseguente ricorso al voto anticipato.
In questo caso, andremo a votare o a fine aprile o a inizio maggio. Ed è evidente che la campagna elettorale sarà monotematica e sarà incentrata tutta sui dazi doganali e sulla minaccia rappresentata dall’inquilino della Casa Bianca Donald Trump.
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