TORONTO – Doug Ford e Sylvia Jones non dovranno testimoniare alla commissione d’inchiesta pubblica di Ottawa. Lo ha stabilito ieri un giudice della Corte federale, chiamato a sciogliere uno dei tanti nodi di questa controversa vicenda. Il giudice Simon Fothergill ha dato quindi ragione al premier dell’Ontario e all’allora Sollicitor General provinciale – oggi è ministro della Sanità pubblica – ribadendo l’efficacia, anche in questa circostanza, dell’immunità parlamentare. Ford e Jones erano stati chiamati a deporre nell’inchiesta sull’attivazione della legislazione d’emergenza, ma i due esponenti del Progressive Conservative si erano opposti. Il commissario Paul Rouleau aveva convocato Ford e Jones a testimoniare all’inchiesta perché voleva conoscere il loro ruolo nella crisi che ha lasciato il centro di Ottawa occupato per settimane e il traffico bloccato nei valichi di frontiera più trafficati del paese.
Il premier dell’Ontario, nel giustificare la sua opposizione alla richiesta di testimonianza, in più di un’occasione aveva sottolineato come a suo avviso l’intera vicenda fosse di competenza federale e non provinciale, e per questo motivo il suo contributo sarebbe stato pressoché nullo.
Ieri, intanto, sono iniziate le deposizioni della quarta settimana di lavori della commissione d’inchiesta. Nelle prime due settimane le testimonianze si sono focalizzate sulle forze di polizia – Ottawa Police in primo luogo, ma anche Ontario Provincial Police e RCMP – e la gestione da parte delle forze di sicurezza dell’occupazione del centro storico di Ottawa da parte dei manifestanti del Freedom Convoy. La scorsa settimana, invece, hanno offerto la loro testimonianza i leader della protesta. Sono due sostanzialmente gli elementi che sono emersi dalle varie deposizioni. Da un lato la polizia di Ottawa non era preparata a gestire l’emergenza, per aver sottovalutato la portata della protesta e per aver calcolato male la possibile durata dell’occupazione del centro della Capitale.
Dall’altro il cosiddetto Freedom Convoy non era affatto un movimento coeso e compatto: al contrario i leader della protesta erano divisi non solo dall’idea di come portare avanti l’occupazione, ma anche da gelosie e ripicche, in un clima sempre più rovente anche a causa delle frizioni provocate dalla gestione delle risorse e delle donazioni raccolte nelle settimane precedenti.
Ora i lavori della commissione d’inchiesta si spostano su un altro capitolo della vicenda, l’occupazione dei valichi di frontiera. Ieri ha fornito la sua testimonianza Drew Dilkens, sindaco di Windsor, città che ospita l’Ambassador Bridge, ovvero il principale valico in termini di merci scambiate giornalmente tra il Canada e dagli Stati Uniti.
Dilkens ha confermato come era venuto a conoscenza di proteste sporadiche sul ponte già a fine gennaio, con numerosi camionisti che rallentavano vistosamente durante il loro passaggio. Di fronte a questa minaccia, la stessa Canada Border Services Agency avvertì il sindaco di Windsor che l’agenzia federakle avrebbe potuto bloccare il ponte per motivi di sicurezza mentre il numero di manifestanti cresceva.
Dilkens contattò il ministro della Pubblica Sicurezza Marco Mendicino con un messaggio di testo datato 4 febbraio. La sera del 7 febbraio, il ponte era completamente bloccato mentre i manifestanti allestivano un campo e dichiaravano che non se ne sarebbero andati.
Esattamente sette giorni dopo, il pomeriggio del 14 febbraio, il primo ministro Justin Trudeau annunciò che avrebbe invocato l’Emergencies Act.
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