Italia

Dalla vergogna all’orgoglio
di essere Italiani

Prosegue la pubblicazione, in dieci puntate sia in Italiano che in Inglese, della presentazione accademica che il nostro collaboratore periodico Goffredo Palmerini ha tenuto all’Aquila il 3 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea CRAM (Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo). La relazione si intitola “Cenni storici sull’emigrazione italiana” e ripercorre la storia della nostra Diaspora.

L’AQUILA – Le partenze continuarono anche successivamente, nel secondo dopoguerra, ovviamente con obiettivi di occupazione diversa. Perché nel secondo dopoguerra chi partiva aveva già un mestiere, erano artigiani e magari avevano anche un titolo di studio rispetto a quello elementare. Chi oggi visita l’Argentina, specie le grandi città – come è capitato a me nei quattro viaggi in quel grande Paese -, proprio perché metà della popolazione ha origini italiane, ha l’impressione di trovarsi in una città europea, certe volte addirittura di stare in una città italiana. Si riconoscono i gusti, il modo di conversare delle persone, il modo di porsi tipico dello stile italiano, del nostro modo di vivere.

Per dare ancora qualche cenno, il terzo Paese per numero di oriundi italiani (emigrati delle varie generazioni) sono gli Stati Uniti d’America, con oltre 18 milioni di cittadini di origine italiana. Gli Stati Uniti hanno avuto un atteggiamento molto complicato nei confronti degli italiani. Oggi noi celebriamo la parte bella dell’emigrazione italiana, ma c’è la parte dolorosa che è terribile. Molta parte di questa storia di dolore – fatta di pregiudizi, stigmi, persino disprezzo – riguarda proprio l’atteggiamento degli americani nei confronti degli immigrati italiani della prima ondata migratoria, trattati come una “gente inferiore” – rozza, sporca, incolta, violenta – e con epiteti dispregiativi (dago, guinea, ecc.).

Pensate che dopo l’approvazione della legge voluta dal Presidente Lincoln che abolì la schiavitù, furono emigrati italiani che andarono a sostituire gli schiavi neri che lasciavano le coltivazioni di cotone in Georgia, in Florida, in Mississippi, in Louisiana e in altri Stati del sud, talvolta subendo veri e propri linciaggi, come avvenne a New Orleans nel 1891 e a Tellulah nel 1899.

Andarono, i nostri emigrati, negli Stati del sud, come andarono nelle miniere di carbone del West Virginia (Monongah, 1908), della Pennsylvania, dell’Arizona o in Colorado, come soprattutto nelle grandi aree metropolitane e industriali di New York, Filadelfia, Pittsburgh, Boston, Chicago e Detroit. Gli italiani erano visti molto male, con pregiudizio. C’era chi li guardava con sospetto, ma non parlo della parte marcia degli italiani – una estrema minoranza – bande criminali legate alla mafia e alla mano nera.

Parlo della stragrande maggioranza degli italiani in America che sudava lacrime e sangue per costruirsi un futuro, subendo talvolta angherie d’ogni sorta, almeno fino a metà Novecento. Basta leggere qualche romanzo dell’epoca, anche di qualche abruzzese – Pascal D’Angelo o Pietro Di Donato, se non addirittura di un grande della letteratura americana come John Fante -, per comprendere chiaramente di quali stigmi gli italiani sono stati vittime.

Si trova anche in queste storie il motivo per il quale molte volte gli italiani hanno americanizzato il proprio nome e cognome, per non farsi riconoscere, per non subire angherie. Per molti decenni hanno evitato di dichiarare le proprie origini, diversamente dall’orgoglio che ora si mostra. Solo dagli anni Trenta del secolo scorso questo orgoglio iniziò pian piano a manifestarsi con le prime parate del Columbus Day a New York – un evento fondato nel 1929 da Generoso Pope (Generoso Antonio Papa), un magnate italoamericano di origini irpine, poi diventata festività nazionale dell’orgoglio italiano negli States.

Lo stigma verso gli italiani è caduto solo nella seconda metà del 900, ma fino ad allora c’era stato questo atteggiamento pesante nei nostri confronti. Solo negli ultimi trent’anni, peraltro, si è potuto accertare quanti oriundi italiani vivono negli Stati Uniti, grazie ad un dato aggiunto nelle schede del censimento generale della popolazione americana, dove si chiedeva l’origine. Caduti i pregiudizi, i nostri connazionali hanno cominciato massivamente a dichiarare le proprie origini. Si è così risaliti ai 18 milioni di oriundi. Ma c’è da ritenere che ci sia persino qualcosa in più di origini italiane.

(settimo capitolo – continua…)

Nella foto in alto, “Venditore di pane”, dal libro “La Merica. Emigrazione dei Monteleonesi verso gli Stati Uniti dal 1882 al 1924” di Antonio De Vitto 

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