Cultura

Cent’anni fa la prima
dei Sei Personaggi: “Manicomio!”

TORONTO – “Una serata veramente di battaglia”. Così il critico e giornalista Adriano Tilgher descriveva la prima dei “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, rappresentata al Teatro Valle di Roma il 9 maggio 1921.

Oggi i “Sei Personaggi” sono riconosciuti come il capolavoro assoluto del teatro italiano del secolo scorso; ma per chi si è sentito ripetere fino allo sfinimento tutti i motivi per cui si tratta di un’opera imprescindibile – la rottura della quarta parte, il metateatro, il contrasto tra vita e forma e via pirandellando – è difficile immaginarsi la carica dirompente che uno spettacolo simile poteva avere cent’anni fa. Proviamo allora a metterci nei panni di uno spettatore che, quella fatidica sera di maggio, va a vedere la nuova commedia di Luigi Pirandello.

Innanzitutto, chi era questo Pirandello? Ecco come ce lo presenta il Capocomico, proprio nei “Sei Personaggi”: “Ci siamo ridotti a mettere in iscena commedie di Pirandello, che chi l’intende è bravo, fatte a apposta di maniera che né attori né critici né pubblico restino mai contenti” (Pirandello spesso si diverte a farsi citare dai suoi personaggi, quasi mai in modo lusinghiero).

In sostanza, nel 1921 Pirandello è un drammaturgo molto chiacchierato, oggi diremmo controverso, ed è probabile che questa nuova commedia con un titolo così singolare riservi qualche sorpresa; ma insomma, nessuno si aspetta qualcosa di sconvolgente.

Ebbene, il 9 maggio 1921 questo ipotetico spettatore entra in sala e trova, tanto per cominciare, il sipario alzato, su un palco completamente vuoto. Già questo è spiazzante: di regola il sipario si alza solo quando lo spettacolo inizia. E poi, la scenografia dovrebbe già essere allestita: perché non c’è neanche un pezzo di cartone, una tela dipinta, qualcosa che suggerisca l’ambientazione? Quello che lo spettatore non sa è che l’ambientazione è il teatro stesso, e lo spettacolo è già iniziato.

Il palco comincia a popolarsi: ma invece di personaggi in costume si vedono un macchinista che inchioda le assi, il direttore di scena, gli attori (vestiti normalmente) e il capocomico, che cominciano a provare, delle scene, a chiacchierare, a discutere di Pirandello.

Di nuovo, chi assiste a un allestimento dei “Sei personaggi” oggi sa bene a cosa va incontro, ma nel 1921 lo spettatore era davvero ignaro di tutto (anche il copione non era ancora stato pubblicato). Qualcuno avrà mangiato la foglia, ma ai più ingenui sarà effettivamente venuto il dubbio di trovarsi davvero alle prove di uno spettacolo invece che alla rappresentazione vera e propria; un po’ come quando andiamo al cinema (vi ricordate i cinema?) e, se l’inizio del film non è quello che ci aspettavamo, ci chiediamo se non abbiamo per caso sbagliato sala.

Lo spettacolo continua e si fa sempre più bizzarro: i sei personaggi del titolo, indossando strani costumi, entrano dal fondo della sala, passando in mezzo agli spettatori (anche questo non si era mai visto) e cominciano a bisticciare con quegli attori che recitano la parte di attori. Già alla fine del primo atto, buona parte del pubblico è completamente esasperata: “Manicomio! Manicomio!”, gridano alcuni; altri fischiano; altri ancora cominciano a sillabare, all’indirizzo di Pirandello: “Buf-fo-ne! Buffo- ne!”. Non mancano però degli spettatori che invece difendono lo spettacolo e, seppure in minoranza, anche loro si fanno sentire.

A raccontarla oggi sembra incredibile, ma scoppia una vera e propria rissa. Nella fazione “pro-Pirandello”, si fa valere il giornalista Orio Vergani, amico dell’autore, nonché fratello della prima attrice, nonché pugile dilettante; si parla poi di un elegante poeta, Arnaldi, che si sarebbe arrampicato su un palchetto  (o, secondo altri, ne avrebbe sfondato la porta a spallate) per avventarsi sui fischiatori.

Alla fine del terzo atto, al culmine dei clamori, Pirandello stesso sale per la prima volta alla ribalta (non l’aveva mai fatto neanche nelle rappresentazioni di maggior successo) per accogliere gli insulti con un sorriso beffardo.

Anche a commedia ormai conclusa, pubblico, attori, giornalisti continuano a rumoreggiare (e a darsele di santa ragione); Pirandello, con la figlia Lietta, viene fatto uscire dal retro per evitare la folla inferocita, ma viene individuato. Se la vede brutta, ma qualcuno ha provvidenzialmente chiamato un taxi. Sempre sorridendo, Pirandello fa salire la figlia (svenuta, pare), monta anche lui sull’automobile e finalmente scompare.

Scrive l’amico pugile, Vergani: “I giovanotti eleganti lanciavano delle monetine. E le signore anche, aprendo in fretta le loro preziose borsette. Odo ancora il rumore del rame sul selciato, il riso e l’oltraggio”.

Anche dopo che Pirandello è andato via, i tafferugli continuano, anzi si espandono, arrivando fino piazza Pantheon.

Qualche mese dopo, la commedia viene rappresentata una seconda volta, a Milano, ed è un successo strepitoso (va detto che nel frattempo il testo è stato pubblicato e il pubblico ha avuto il tempo di prepararsi).

Negli anni successivi i “Sei personaggi” conquistano Parigi e finanche New York e Pirandello diventa un autore di fama internazionale. Il resto, come si dice, è storia.

Questo succedeva esattamente cento anni fa. La prima dei “Sei personaggi” è un episodio affascinante, controverso, certo non proprio edificante; però viene un po’ da rimpiangere quei tempi in cui gli spettatori potevano infervorarsi per una rappresentazione teatrale al punto tale da prendersi a sberle come succede oggi negli stadi.

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