Il Canada alla ricerca di una identità
TORONTO – Cosa significa veramente essere canadesi?
Chiunque si rada o si trucchi al mattino (o in qualsiasi altro momento) conosce la routine di cercare di presentarsi al meglio, rendendo tutti consapevoli della propria personalità e di cosa potrebbero aspettarsi da noi. I canadesi sono prigionieri dei programmi altrui, a mio modesto parere, perché non riusciamo a rispondere alla domanda fondamentale: “chi siamo?”.
Per questo semplice fatto, non riusciamo a ricevere direttive da né a dare autorità a coloro che eleggiamo per stabilire i principi di governo necessari a creare l’ambiente legale ed economico necessario per prosperare, trascendendo le esperienze generazionali. Non è per mancanza di tentativi, immagino, ma per le distrazioni che ci permettiamo e che ci impediscono di “cogliere l’attimo”.
È ormai comunemente accettato che la più grande distrazione di tutti i tempi sia l’attuale Presidente degli Stati Uniti, un personaggio pittoresco che ci sta costringendo a riconsiderare ogni aspetto delle nostre relazioni, sia a livello nazionale che internazionale. A prima vista, il caos interno dovrebbe essere la “crisi” più urgente da evitare, perché oggi tutto è una “crisi”.

Dal mio punto di vista, il vero colpevole è la debolezza intrinseca della nostra “struttura di governo nazionale” – la nostra Confederazione – che impedisce la definizione di “interessi nazionali”. Da giovane, sognavo grandi ambizioni per l’immensa estensione geopolitica del Canada. Altri possono assumersi questa sfida.
Basta osservare (superficialmente, ovviamente) i “negoziati” per portare potassio, petrolio greggio e gas naturale liquido da due province favolosamente ricche e senza sbocco sul mare, Alberta e Saskatchewan, a una costa occidentale in un porto della British Columbia, è roba da film con temi di cupidigia ed estorsione. Si ha l’impressione che eserciti invasori siano alle porte, mentre i battibecchi interprovinciali ormai rasentano l’annullamento di “obblighi e autorità giurisdizionali” tramite l’invocazione di “clausole di deroga” o minacce di un “referendum”… per affermare l’autonomia, se non l’indipendenza, à la Quebecoise.
Un ex collega, amico e co-fondatore del Bloc Quebecois, al momento della riconversione, si riferiva a questo fenomeno come “neverendum“. La conversazione era sempre circoscritta: “chi è arrivato prima o vive più vicino alle risorse naturali è il proprietario”. I tribunali, nelle loro sentenze, sembrano incoraggiare questo modo di pensare. E “ingannare il sistema” è ormai all’ordine del giorno.
Queste province, singolarmente o a coppie, stanno facendo del loro meglio per indebolire l’autorità federale, anche a rischio di allentare il collante e i punti in comune che ci tengono insieme.
Traduzione in Italiano dall’originale in Inglese a cura di Marzio Pelù
Nelle foto in alto, i premier Danielle Smith (Alberta), David Eby (British Columbia), Francois Legault (Quebec) e Scott Moe (Scaskatchewan), ed il primo ministro Mark Carney (foto/screenshot dai rispettivi profili Twitter X)

