Cultura

Una conversazione con Silvia Giulietti

TORONTO – Ho avuto il privilegio di sedermi a Toronto con Silvia Giulietti, produttrice e regista di “Fellinopolis”, “La morte legale” e “Gli angeli nascosti di Luchino Visconti”, per citare solo alcuni dei suoi lavori. Giulietti è stata una delle prime donne, se non la prima, in Italia a lavorare su un set cinematografico come assistente alla macchina da presa, operatrice alla macchina da presa e, infine, direttrice della fotografia.

L’incursione di Giulietti nel cinema negli anni ’80 non è stata un percorso normale, come racconta lei stessa. A quindici anni non era necessariamente ossessionata da film o attori famosi. Sua madre era una rappresentante legale per la società cinematografica Gaumont Italia e l’esposizione di Giulietti al cinema è avvenuta tramite l’accesso frequente a Cinecittà, che secondo la sua descrizione era vissuta in un certo senso come un parco giochi. Il suo percorso come professionista del cinema è iniziato quindi in un giorno fatidico [a 16 anni] quando sua madre la mandò a fare una commissione di consegna allo Studio 5 di Cinecittà, il famoso ritrovo di Fellini.

I suoi primi passi nello Studio 5 furono sul set di “La città delle donne” di Fellini (1980) e, come dice lei, “senza pensare in quel momento che sarei stata coinvolta nell’industria”.

Durante la conversazione ha descritto un’epoca passata del cinema italiano, un’epoca in cui i narratori del cinema italiano avevano qualcosa da dire, non semplicemente attraverso il dialogo, ma attingendo ai meandri più profondi dell’immaginazione umana.

Parlando ad esempio del Premio Oscar Federico Fellini: “Era come Walt Disney, che faceva i suoi cartoni animati e tutti contribuivano a questo lavoro ed erano consapevoli che stavano realizzando un capolavoro che sarebbe rimasto nella storia. Quindi tutti, dall’ultimo macchinista e attrezzista, li vedevi felici di fare [il loro lavoro]: un esercito di operai che spostavano i set”.

Di Lina Wertmuller, per la quale lavorò come fotografa di scena, Giulietti osservò [riferendosi al film del 1974 “Travolti da un insolito destino”]: “L’intelligenza di Lina nel raccontare il rapporto tra una ricca industriale e un operaio. Perché in Italia a quel tempo c’era lo scontro tra queste due classi. Perché le fabbriche allora stavano aumentando, i grandi industriali stavano espandendo il Paese e poi più si espandevano, più si estendeva la classe operaia, e di conseguenza il divario sociale. L’intelligenza di questa donna nel fare una commedia in cui c’è lo scontro tra questi due mondi”, è davvero un’arte.

I racconti di Giulietti sul suo percorso professionale attraverso l’età d’oro del cinema italiano erano numerosi, uno più interessante dell’altro, ma la sua attenzione rimane sul presente e con un occhio al futuro dell’Italia.

“Oggi il mercato non è più soltanto italiano, è internazionale. L’Italia è importante, ma i miei progetti devono essere universali [e riecheggiare] in Canada, Giappone, Cina e Africa ecc. Perché ora siamo un cinema globalizzato, una cultura globale e quindi i temi del cinema, della letteratura, della musica, dell’arte, della pittura sono universali. Se parlo solo all’Italia ci mettiamo all’angolo”.

Giulietti sta infatti mettendo insieme il suo prossimo film documentario, che rende omaggio alla docu-serie del 1971 di Ennio Flaiano “Oceano Canada”, ma è anche una continuazione della sua esplorazione delle gesta degli italiani che vivono all’estero.

Cerchiamo di capire, cinquant’anni dopo, cosa è successo a questi italiani dopo tutto questo tempo, cosa hanno fatto in questo paese”. La sua ammirazione per il documentario di Flaiano, che i David Di Donatello Awards hanno riconosciuto postumo quest’anno, è un punto di partenza per il suo attuale progetto. Con la considerevole carriera che Silvia Giulietti ha avuto, questo suo prossimo film diventerà sicuramente una grande aggiunta a una filmografia già invidiabile.

In alto, Silvia Giulietti nella redazione del Corriere Canadese e, qui sopra, impegnata nelle riprese di un film; sotto, la locandina di “Fellinopolis”

 

Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

 

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