TORONTO – Non è una coincidenza che il cast di “La Chimera” includa l’illustre Isabella Rossellini, della regalità neorealista – dal momento che Roberto Rossellini è suo padre e il padre del movimento artistico [Neorealismo] nel cinema.
La ricerca per costruire film naturalistici iniziò negli anni ’40, quando i registi italiani, seguendo le orme di “Roma Città Aperta” di Rossellini, evitarono ostentatamente l’artificio dei film realizzati in studio con una dedizione quasi da culto al realismo. Le lunghe riprese tortuose – che contrastavano il montaggio frenetico per cui il cinema americano era ed è tipicamente noto – divennero il segno distintivo del movimento, insieme alle riprese in esterni e alla creazione di un’estetica che rispecchiava quella dei film documentari.
L’influenza del Neorealismo sull’industria e sui suoi artisti continua, poiché le sue idee e i suoi principi sono presumibilmente diventati il tessuto non solo del cinema indipendente, ma hanno visto i film Studio assumere autori che ne rispettano la filosofia.
La sceneggiatrice/regista di “La Chimera” Alice Rohrwacher è toscana e il suo ultimo film è più di un semplice omaggio alle opere di Rossellini, Fellini, De Sica e simili. Come dice Isabella Rossellini, “Alice porta un nuovo sguardo, la magia, l’umorismo… ci ha portato una ventata di aria nuova”. Grandi parole dalla figlia del Maestro.
“La Chimera” è il film finale di una trilogia, legata tematicamente, che include “Le Meraviglie” e “Lazzaro Felice”. Rohrwacher, con questi tre film, esplora le sue “curiosità infantili” sul rapporto dell’uomo con il passato e con le civiltà le cui eredità diamo per scontate, che si tratti delle loro creazioni o filosofie. Il film segue Arthur, un ex archeologo britannico (Josh O’Connor) recentemente incarcerato che lavora di nascosto come ladro di tombe. Dopo il rilascio, torna dai suoi soci criminali e dalle sue attività in Italia, e a casa della sua ex fidanzata [ora scomparsa], dove incontriamo la madre Flora (Isabella Rossellini). La trama, tuttavia, è secondaria, come il testo di una canzone i cui versi sono un mero sfondo alle sue onde melodiche.
Come una traccia dei Pink Floyd, nessun singolo elemento si eleva al di sopra della convergenza e del flusso musicale. In “La Chimera”, gli stati d’animo dei personaggi ondeggiano e la trama devia, conferendole un effetto instabile ma ipnotizzante. Come un sogno. Forse per Rohrwacher, l’essere sognanti offre uno spazio in cui possiamo riflettere sulle cose nascoste in profondità nel nostro subconscio, una metafora di un passato sepolto.
Sebbene in apparenza sia un film sul furto di tombe, è molto più una storia su ciò che si trova oltre la tomba o su ciò che abbiamo perso, e questo è rappresentato in modo ordinato attraverso la fidanzata scomparsa di Arthur. Potrebbe essere morta, come insistono alcuni dei suoi compagni, e se lo è, perché Arthur desidera ardentemente il suo ricordo? Il passato, come dice Rohrwacher, “ci porta a riflettere su ciò che ci lasciamo alle spalle. E quando facciamo un film, è quello che facciamo. È strettamente connesso a questo”. “La Chimera”, mentre ci regala strane stranezze rurali italiane on le quali altrimenti non verremmo in contatto, incita astutamente lo spettatore a riflettere sulle domande più profonde della nostra esistenza.
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Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix