Italia

Un esercito di lavoratori lascia l’Italia

Iniziamo oggi la pubblicazione, in dieci puntate sia in Italiano che in Inglese, della presentazione accademica che il nostro collaboratore periodico Goffredo Palmerini ha tenuto all’Aquila il 3 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea CRAM (Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo). La relazione si intitola “Cenni storici sull’emigrazione italiana” e ripercorre la storia della nostra Diaspora.

L’AQUILA – Per entrare nel contesto d’un fenomeno di così grande portata nazionale, qual è l’emigrazione, occorre rifarsi mentalmente alle sue radici ed al suo corso, almeno quanto basta per dare la misura di come sia cambiata nel tempo. Ma sarà difficile comprenderlo nella sua complessità se non si risale, sia pure per brevi cenni, all’inizio dell’emigrazione di massa. Torniamo, pertanto, solo per un momento ai tempi in cui esplose l’emigrazione come fenomeno diffuso nel nostro Paese, tra il disorientamento e l’incomprensione generale.

A quegli anni tra il 1880 e l’inizio del nuovo secolo quando non si riuscì a dar vita ad un solo provvedimento per la disciplina del diritto d’emigrare che valesse, nel contempo, anche per una definita forma di protezione umana e civile. L’intervento pubblico fu incerto, norme ed applicazioni servirono solo a rendere più confuso l’andamento d’un fenomeno che andava affrontato con propensioni a coglierne l’essenza sociale.

Ma così non fu. E l’esercito di braccia che partì dall’Italia verso ogni continente si trovò a dover affrontare inimmaginabili e drammatiche vicende umane, a lottare ogni giorno contro sospetti e pregiudizi, a doversi confrontare in competizioni durissime con sistemi sociali sconosciuti e condizioni di lavoro altrettanto precarie.

Dunque davvero illuminante ed efficace, più d’ogni altra analisi sociologica, è stata la narrazione dell’emigrazione italiana, con tutti i suoi dolori materiali e morali, attraverso alcuni libri che hanno avuto ampia diffusione – per tutti cito il best-seller di Gian Antonio StellaL’orda. Quando gli albanesi eravamo noi” e più recentemente Enrico Deaglio con “Storia vera e terribile tra Sicilia e America” o “Quando partivamo noi. Storie e immagini dell’emigrazione italiana”, di Bruno Maida –. Finestre che hanno consegnato all’opinione pubblica molta luce sul fenomeno migratorio italiano, oggi portata più a celebrare le grandi conquiste civili, economiche e sociali della nostra emigrazione, meno a riflettere a costo di quali sacrifici questo sia accaduto.

In effetti, oggi, del fenomeno migratorio italiano – una delle più grandi diaspore dell’umanità che in poco più di un secolo ha visto emigrare circa 29 milioni di italiani – si tende a richiamare le rilevanti affermazioni in ogni ruolo nelle società dei Paesi d’emigrazione, dove le nostre comunità hanno fortemente contribuito alla crescita ed allo sviluppo.

Hanno così conquistato sul campo, in condizioni talvolta di forte competizione, con la laboriosità, l’ingegno e l’intraprendenza creativa, ragguardevoli risultati, tanto da guadagnarsi rispetto e stima con esemplari testimonianze di vita. Hanno persino reso un ulteriore grande servizio all’Italia, più importante dall’averle consentito di crescere e progredire anche con le loro rimesse, nell’aver dimostrato direttamente in ogni angolo del mondo quali siano le qualità e le doti della gente italiana, specie in Paesi dove la considerazione verso l’Italia talvolta è misurata più sui nostri difetti in Patria che non sulle nostre virtù.

(primo capitolo – continua…)

La foto in alto è “La partenza”, tratta dal libro “La Merica. Emigrazione dei Monteleonesi verso gli Stati Uniti dal 1882 al 1924” di Antonio De Vitto

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