Il Commento

Polemiche sulle schede elettorali Usa

TORONTO – Chiamatemi pure cinico, ma ho smesso di credere che in politica accadano “eventi imprevisti”, a meno che non siano eventi naturali che possono abbattersi sui “migliori piani di topi e uomini”. Non sono nemmeno un teorico della cospirazione. In questo contesto, ciò che si sta svolgendo nel processo elettorale americano avrà un impatto “a cascata” sul Canada e altrove.

Parte della ragione di ciò risiede nel fatto che, con 342 milioni di persone, la più grande classe media in assoluto, un’economia da 21 trilioni di dollari e un esercito che fa impallidire le undici potenze inferiori in termini di dimensioni e forza, gli Stati Uniti meritano l’attenzione di tutti. Sono, di fatto, il poliziotto del mondo. Nessuna nazione può permettersi di ignorare le proprie dinamiche interne.

Inoltre, il suo sistema di governance di “pesi e contrappesi” significa essenzialmente che nessuno è mai certo di chi sta “tirando i fili”. Inoltre, la tendenza a fare riferimento alla magistratura in quasi tutti i casi di relativa importanza ha reso quell’istituzione più attivista che in passato, anche se gli Stati Uniti sono una delle società più litigiose al mondo.

Nonostante tutto questo, le dimissioni di martedì di Kimberley Cheatle dal suo incarico di capo dei servizi segreti statunitensi per quella che sembrava una palese indifferenza agli avvertimenti di un tentativo di assassinio alla vita del candidato presidenziale, Donald Trump, devono sicuramente scuotere la fiducia di tutti nel sistema politico americano. Come minimo, la tendenza alla polarizzazione del pensiero non può essere sana.

Sempre più spesso, la “libertà di stampa” di esaminare e valutare oggettivamente in base a criteri di indipendenza è disapprovata. Per quanto strano possa sembrare, ciò che è “tollerato” – per fortuna, a malapena – è la libertà di accumulare disprezzo e derisione su una posizione non coerente con la propria. La civiltà nel discorso e nel dibattito su questioni di pubblica importanza è praticamente scomparsa: i candidati sono “bugiardi”, “ladri”, “criminali”, “candidati DEI” o qualche esponente di “estremi/alt …” fornitori di un male catastrofico indefinito.

L’emergere di Kamala Harris come candidata “preferita” dal Partito Democratico ha solo aggiunto benzina su quel fuoco. Anche la sovrastruttura politica europea sembra bere dallo stesso calice. Come riportato altrove nelle nostre pagine, Bruxelles (sede dell’Unione Europea, e mai troppo gentile con l’Italia) ha espresso la sua opinione sull’interferenza dello Stato italiano nella libertà di stampa presumibilmente goduta dalla rete televisiva nazionale.

Forse è sarcasmo spinto troppo oltre mettere in dubbio se il loro obiettivo avrebbe potuto essere meglio raggiunto se avessero scelto come bersaglio migliore per la loro preoccupazione la politica della nostra CBC.

È comunque affascinante seguire le manifestazioni di opinione palesemente partigiane pubblicate dai media americani e il lacrimonioso “tut-tuting” della nostra compiaciuta stampa e dei nostri media, in risposta a ogni nuova svolta nel ciclo elettorale negli Stati Uniti.

Al Corriere, ci chiediamo come imprenditori, professionisti e politici altrimenti responsabili siano liberi di calunniare e diffamare persone con cui hanno un disaccordo ideologico.

In alto, da sinistra: Kamala Harris, Donald Trump e J.D. Vance (foto tratte dai rispettivi profili Instagram)

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