TORONTO – A caldo la prima impressione non è affatto positiva né lusinghiera. Cosa ha spinto il primo ministro Justin Trudeau a strappare un patto di legislatura con Jagmeet Singh, con un’operazione politica e parlamentare che ha pochissimi precedenti nella storia canadese? Per dare una risposta compiuta a questa domanda si deve individuare il contesto politico e geopolitico che ha caratterizzato la nascita dell’accordo liberali-Ndp. Partiamo dal fatto che governare senza una maggioranza parlamentare non dovrebbe rappresentare un problema.
Trudeau lo ha già fatto nella scorsa legislatura, dopo le elezioni del 2019, con un esecutivo saldamente al potere nonostante i numeri striminziti alla Camera, facendo sponda con lo stesso Ndp e con il Bloc Quebecois.
Il primo ministro sarebbe potuto tranquillamente andare avanti per altri due anni, in attesa che i conservatori scegliessero il loro nuovo leader, aggiungendo nel budget alcune proposte di Singh per assicurarsi l’approvazione in parlamento.
L’impressione è che in questa decisione di formalizzare l’appoggio esterno dei neodemocratici al governo abbia giocato un peso decisivo la precaria situazione internazionale, con l’invasione russa che ha provocato la più grave crisi globale degli ultimi decenni che ha fatto sprofondare il mondo in un clima da Guerra Fredda che pensavano di aver relegato nei libri di storia.
Stabilità: questa è la parola chiave utilizzata in più passaggi nel discorso di ieri di Trudeau alla presentazione dell’accordo siglato con Singh.
C’è bisogno di stabilità e continuità perché siamo di fronte a una minaccia gravissima, l’intera società occidentale deve fare i conti con la sfida lanciata da Putin. Il futuro prossimo è carico di incognite e zone d’ombra e gli altri Paesi della Nato hanno scelto lo stesso percorso. In Germania Olaf Scholz, il delfino di Angela Merkel, è destinato a governare il Paese a lungo, in Francia Emmanuel Macron dovrebbe essere riconfermato alle presidenziali senza troppi patemi d’animo, in Italia è difficile immaginare un nuovo governo senza Mario Draghi anche dopo le elezioni politiche del 2023, mentre negli Stati Uniti il presidente Joe Biden è nel pieno del suo mandato alla Casa Bianca.
Qui in Canada avremo quindi lo stesso governo per i prossimi tre anni. Sul piano squisitamente interno il patto di legislatura tra le due anime del centrosinistra è destinato a scontentare una buona fetta dell’elettorato canadese. Conservatori e Bloc hanno bocciato la “manovra di palazzo”, tacciandola come l’ennesimo grottesco tentativo di Trudeau di rimanere al potere in una fase di grande difficoltà.
Nell’elettorato ndippino un accordo di questo tipo, fatto dopo le elezioni, sarà molto difficile da digerire: le concessioni fatte dal primo ministro – Child care, Dental Care, crisi abitativa, ambiente e sicurezza sul lavoro – si sarebbero potute raggiungere anche senza il patto di legislatura nella fase di discussione delle prossime manovre finanziarie.
Anche nell’elettorato liberale l’annuncio non è stato certo accolto con grande entusiasmo, ma al contrario con diffidenza: si va a fare un patto con un politico che negli ultimi anni ha attaccato Trudeau un giorno sì e l’altro pure.
Ma l’accordo indica anche un ulteriore fattore: la percezione che la crisi internazionale sia destinata a un veloce deterioramento, con implicazioni impensabili fino a qualche mese fa, come l’escalation militare tra Russia e Nato.
Infine, l’accordo annunciato ieri rappresenta anche un importante indicatore della nostra democrazia, che non è in crisi ma che non se la passa nemmeno benissimo.
Già durante i due anni di pandemia, per motivi sanitari e quindi di forza maggiore, abbiamo assistito a una compressione dei diritti e delle libertà mai visti qui in Canada.
Il parlamento per diciotto mesi è diventato un organismo puramente rappresentativo, con l’esecutivo che ha governato a forza di decreti, con i parlamentari costretti a lavorare da remoto, con le opposizioni che in sostanza non hanno avuto alcun ruolo di controllo e garanzia, senza la minima possibilità di partecipare al dibattito di formazione delle politiche di governo.
La “crisetta” provocata dall’occupazione di Ottawa e di alcuni passaggi di confine da parte del cosiddetto Freedom Convoy ha spinto il governo ad adottare, per la prima volta nella storia, la legislazione d’emergenza, un segnale inquietante che ha provocato polemiche a non finire.
Ora, il governo Trudeau si blinda, di fronte alla minaccia rappresentata dall’instabilità internazionale. La speranza è che l’emergenza possa finire presto, anche se per ora i fatti dicono l’esatto contrario.
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