TORONTO – “Di colpo si fa notte, s’incunea crudo il freddo, la città trema, livida trema. S’alzano i roghi al cielo, s’alzano i roghi in cupe vampe”. Giovanni Lindo Ferretti, con queste parole contenute nella canzone Cupe Vampe del 1996, aveva descritto l’agonia e la sofferenza di Sarajevo durante il lungo e brutale assedio, uno degli episodi più tragici della Guerra dei Balcani degli anni Novanta. Una guerra combattuta nel cuore dell’Europa, mezzo secolo dopo la fine del secondo conflitto mondiale.

Pensavamo – noi, poveri illusi – che quella canzone fosse destinata a descrivere un pezzo di storia lontano nel tempo, irripetibile per le generazioni a venire, coltivando l’illusione, appunto, che la diplomazia avrebbe potuto avere sempre e comunque la meglio sul ricorso insensato e brutale alle armi. Purtroppo non è così.

Non facciamo in tempo ad uscire da due anni di emergenza globale provocata dalla pandemia del Covid-19 e ci ritroviamo travolti da questa nuova minaccia: la guerra, in territorio europeo, scatenata dalle mire di conquista di Vladimir Putin.

A poche ore dall’inizio delle operazioni militari, con l’invasione dell’Ucraina da parte delle forze russe lungo tre fronti e con il bombardamento delle sette principali città ucraine, abbiamo rivisto quelle cupe vampe, quei roghi che si alzano al cielo, che fino al giorno prima speravamo di aver visto per l’ultimo volta – almeno in Europa – nel conflitto seguito dalla dissoluzione della Jugoslavia. E già dopo poche ore abbiamo ritoccato con mano tutti i tragici effetti della guerra: la fuga dai centri urbani, le vittime civili, i danni collaterali, le colonne di fumo, i palazzi colpiti dai missili e crollati, il sangue, le lacrime, la disperazione.

In questo momento non è possibile porsi in una posizione di equidistanza in un conflitto che mina la stabilità mondiale e che rischia di allargarsi a macchia d’olio anche nei Paesi confinanti: in questa guerra esiste un aggressore – la Russia – e un aggredito – l’Ucraina – un carnefice e una vittima. E Putin, da sempre abile stratega che ha attraversato ere politiche – guida la Russia dal 2000 – questa volta non è stato in grado di fornire alla comunità internazionale uno straccio di motivazione credibile per l’invasione dell’Ucraina. Il giudizio della storia nei confronti di questo Hitler 2.0 in salsa russa sarà severissimo.

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