Il Commento

Meno sanno, più alzano la voce

TORONTO – Come se noi canadesi non avessimo abbastanza distrazioni. Venerdì si è appena conclusa un’udienza quasi giudiziaria sull’ingerenza straniera nel nostro sistema elettorale. Ministri e funzionari governativi di alto livello erano apparsi con dichiarazioni apparentemente contrastanti sul fatto che ci fossero stati, continuassero ad esserci o possano esserci in futuro tentativi clandestini da parte di entità straniere di insinuarsi nei nostri affari.

Basta guardare il famigerato discorso “Vive le Quebec Libre” pronunciato in occasione del centenario del Canada da Charles De Gaulle, noto ficcanaso e presidente della Republique Francaise. Non c’era nulla di segreto nella sua mancanza di garbatezza politica. Chiedo scusa, la mia percezione era quella di un giovane immigrato che cercava di integrarsi nel mosaico canadese.

La Francia ha avuto una storia, dal mio punto di vista, di abbandono dei suoi coloniali a se stessi una volta che le guerre in Nord America videro l’emergere prima degli inglesi, poi dei loro eredi anglofoni che gli ex alleati aborigeni dei francesi chiamavano “yangle” [ Yankee]. I coloni francofoni dopo il Trattato di Parigi del 1763 si videro lasciati da parte quando la “madre” Francia cedette il loro territorio alla Gran Bretagna.

Per i successivi cento anni, fino al 1860, resistettero all’assimilazione – diventare inglesi nella lingua e nella cultura – con quella che gli storici chiamano eufemisticamente “la revanche des berceaux”, alti tassi di natalità per mantenere il loro dominio numerico e la loro leva politica. Avevano sperimentato in prima persona la propensione britannica alla pulizia etnica nel Canada atlantico.

Nel 1860 “collaborarono” con i leader della Chiesa e con altre colonie britanniche del Nord America per ideare una nuova forma di governo [Confederazione] che desse loro la certezza politica di essere “padroni” in casa propria e di essere comunque un partner collaborativo e rispettoso in questo nuovo Paese. La sopravvivenza, nonostante gli intoppi, è stata assicurata, senza aiuto esterno.

Nella complessa società odierna, i cofondatori francofoni del Canada moderno – les quebecois de souche – sono sicuramente dei padroni in casa propria (maitres chez nous). Il loro unico legame con la Francia è la lingua e gli scarsi scambi commerciali tra loro (la Francia vende al Quebec il doppio di quanto acquista dalla bella provincia).

Alcuni potrebbero pensare che il Quebec goda di una posizione “privilegiata” in Canada. Vero o no dipende dagli scopi e dagli obiettivi consentiti e ottenibili dalla nostra Costituzione. Gli esiti dei necessari negoziati potrebbero non dipendere dalla “revanche”. I dati demografici di StatsCan suggeriscono che la provincia sta vivendo ciò che i demografi chiamano fertilità sub-sostitutiva. Un fattore risultante, il declino della popolazione, ha aumentato l’ansia riguardo al loro futuro culturale/linguistico tra gli abitanti del Quebec.

Eccoci a 57 anni dall’esortazione del grande presidente, l’attuale primo ministro francese, Gabriel Attal, ha deciso di insinuarsi nel dibattito referendario del Quebec su immigrazione, secolarizzazione e istruzione. Secondo un articolo della Canadian Press, redatto da Thomas MacDonald, Attal sembra appoggiare l’iniziativa del premier Legault su questi fronti, ma protesta che ciò non costituisce un’ingerenza nei dibattiti politici. Veramente?

A sua difesa, ha affermato di aderire alla politica [francese] di lunga data di “non interferenza” e “non indifferenza”. Sembra il famoso equivoco canadese “carino/furbo” pronuciato da un PM canadese per calmare l’isteria contro la leva obbligatoria: “Coscrizione se necessaria ma non necessariamente coscrizione”.

C’e’ stata la coscrizione.

Nella foto in alto, Francois Legault accoglie il primo ministro francese M. Gabriel Attal (da Twitter X – @francoislegault)

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