TORONTO – L’Uomo senza Gravità interrompe per 105 minuti la Legge di gravitazione universale dello scienziato Isaac Newton, optando per una realtà favolosa, in cui una forza non attrae il corpo verso il centro della Terra.
Il film di Marco Bonfanti non parla della fisica o delle leggi che ci legano alla realtà fisica del mondo naturale, ma di una contemplazione di come queste stesse leggi influenzano il nostro stato d’animo. Discutendo sulla genesi della storia, racconta Bonfanti, “ci chiedevamo quali fossero le pochissime realtà oggettive di questo pianeta e ci è venuta in mente la gravità”.
Il regista ha subito cercato di realizzare un film col tema di un bambino che nasce libero dalle restrizioni della gravità. Come potrebbe un tale essere umano navigare, acclimatarsi o addirittura esistere entro i confini del nostro mondo? Elio Germano, scelto perfettamente per il ruolo di Oscar – un uomo senza gravità – interpreta il personaggio nel modo più umano possibile, forse più del previsto date le opportunità finanziarie a sua disposizione.
Il film inizia nelle prime ore del mattino quando Natalia, la futura mamma (Michela Cescon), si precipita in un ospedale senza medici per partorire il suo bambino con l’aiuto dell’unica impiegata, un’infermiera impreparata.
L’ambiente desolato e il modo peculiare in cui Oscar nasce preannuncia l’esistenza serena che presto seguirà, nonostante una madre e una nonna tenaci che lo allevano nelle condizioni più precarie. Durante i primi istanti di vita, Oscar fluttua miracolosamente verso l’alto come un palloncino pieno di elio, mentre è ancora collegato al cordone ombelicale di sua madre. Eppure, inevitabilmente, come la maggior parte delle madri, Natalia passa il suo tempo a rendere la casa a prova di bambino, cercando modi per sostituire il cordone ombelicale reciso con uno invisibile – e nel caso di Oscar ciò comporta finestre sbarrate, soffitti imbottiti e un giubbotto zavorrato. Inizialmente, l’uomo senza gravità è prigioniero nella propria casa, con il divieto di uscire dall’abitazione, frequentare la scuola o parlare della sua dote. È un uomo in isolamento, un concetto non così estraneo alla generazione della pandemia.
Man mano che la storia si dipana, Oscar, come il famoso Elephant Man (Joseph Merrick), cerca la sua libertà e in qualche modo l’accettazione, come una novità.
Mentre viene sfruttato e guardato a bocca aperta come uno spettacolo da baraccone e da circo, il vero dono di Oscar viene rivelato: la sua leggerezza dell’essere, il suo rifiuto di essere assorbito in un mondo depravato. “È un uomo leggero e la sua leggerezza non è vista come superficialità o frivolezza, ma come possibilità di reagire alla pesantezza di questa società, di questa realtà”, dice Bonfanti. L’uomo senza gravità è stata definita una “favola” moderna, e lo è nel senso tradizionale del termine. Non si può fare a meno di chiedersi, tuttavia, l’impatto del film sul pubblico più giovane, dato che il loro mondo non rifiuta necessariamente le “anomalie”. O in questo caso, anche attenersi al significato della parola.
Guarda “L’uomo senza gravità” su Netflix
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix