TORONTO – Le interferenze straniere faticano a influenzare il voto dei canadesi, ma sono molto più efficaci quando hanno luogo le nomination interne ai partiti. L’allarme, lanciato dal rapporto del giudice Marie-Josée Hogue sulle interferenze straniere della scorsa settimana, mette in luce un aspetto molto preoccupante in vista anche del voto federale del prossimo anno.
L’interferenza straniera, infatti, ha successo quando il Paese che la compie riesce a influenzare l’esito di una determinata competizione elettorale. A livello federale esistono già degli strumenti che bloccano o quanto meno limitano l’ingerenza che arriva da oltre confine, come ha verificato il rapporto. Oltre a questo, il regolare svolgimento della tornata elettorale viene controllato da un agenzia esterna, Elections Canada, che è in grado di attivare misure che disinnescano i tentativi di ingerenza.
Un discorso completamente diverso riguarda le nomination dei partiti. Qui le singole formazioni politiche del nostro Paese devono affrontare un compito molto difficile, perché non sono attrezzate per limitare le ingerenze straniere. I partiti sono in gran parte lasciati liberi di stabilire le regole o di farle rispettare – o meno – con i controlli che molto spesso sono blandi ed effettuati solamente a livello locale.
C’è stata anche la preoccupazione emersa nel corso dell’inchiesta di Hogue che le agenzie di sicurezza come il Canadian Security Intelligence Service (CSIS) non hanno la stessa familiarità con le tattiche impiegate dagli attori politici nazionali nelle campagne di nomina duramente combattute.
“La mia preoccupazione era più che altro che forse il CSIS non avesse capito così profondamente come agisono gli attori politici di diversi gruppi comunitari nelle campagne per la nomina”, ha detto il primo ministro Justin Trudeau all’inchiesta il 10 aprile, riferendosi all’intelligence sulle presunte “irregolarità” durante la nomina liberale del 2019 a Don Valley North.
Più di 30 anni fa, la commissione Lortie per le riforme democratiche richiamò l’attenzione sulla natura “decentralizzata” della responsabilità per la competizione per le nomine, con un focus sulle donne.
“L’approccio decentralizzato alle nomine in Canada rende più difficile” garantire che le donne siano meglio rappresentate nella Camera dei Comuni, secondo il rapporto di Lortie, “perché richiede il pieno impegno e la cooperazione delle associazioni locali”. I diversi partiti e le loro associazioni locali hanno tutti approcci diversi ai concorsi per le nomine: non ci sono standard centralizzati o l’applicazione di regole uniformi.
Ma la cautela di Hogue arriva in un momento in cui la posta in gioco per l’interferenza è probabilmente molto più alta, quando regimi con intenti ostili stanno cercando di sovvertire il processo democratico. Il rapporto di Hogue chiarisce che il processo di nomina stesso è vulnerabile, ma i principali partiti federali sembrano essere molto riluttanti ad affrontare la situazione.
I partiti devono essere in grado di gestire il proprio processo di controllo per i candidati, per garantire che i potenziali parlamentari siano in linea con i principi del partito e non li mettano in imbarazzo nel bel mezzo di una campagna elettorale con scheletri nell’armadio.
Ma in assenza di una vera supervisione, i canadesi sono lasciati a prendere in parola i partiti che stanno prendendo sul serio la minaccia dell’influenza straniera nelle nomine.
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