Il Commento

In lacrime verso il tramonto. Non tornerà più

TORONTO – La storia, canadese e non solo, è piena di personalità che hanno lasciato un segno, hanno fatto la differenza nel bene o nel male. Il modo in cui questa eredità viene raccontata è più spesso un riflesso dei “valori del narratore” che delle valutazioni oggettive di quelle personalità. Ho assistito a poche eccezioni, se non nessuna. Anzi, come nel caso dell’immediata partenza di personaggi controversi, si tende a smorzare le critiche e ad alimentare gli aspetti positivi; almeno nel breve termine.

Con questo in mente, la sostituzione di Justin Trudeau evocherà reazioni esagerate dall’ambiente politico che circonda la sua partenza. Come esempio, si pensi all’ex presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon (“il furbetto”) che, a un certo punto della sua carriera, disse alla stampa: me ne vado, non potrete più prendermi a calci. I media trovarono altri obiettivi abbastanza rapidamente.

L’era Trudeau non è ancora finita. Per prima cosa, i risultati del voto per la sostituzione non saranno annunciati [oggi] al momento in cui andremo in stampa. In secondo luogo, i restanti “candidati per la carica”, ​​sono tutti molto strettamente legati a ciò che lui sta pubblicamente decantando come la sua eredità. In terzo luogo, l’associazione a tale eredità ha attirato un numero poco impressionante di 155.000 sostenitori del voto online (su una popolazione di 40 milioni, di cui almeno 10 milioni sono entrati nel Paese in base alle sue politiche di immigrazione/economiche).

Inoltre, da una prospettiva politica, la sopravvivenza di: (1) i suoi programmi sociali saranno presto messi alla prova nella Camera dei Comuni, (2) le Corti (che, si sostiene, ha riempito di funzionari fedeli alle sue prospettive), (3) il nostro ruolo nelle Assemblee Internazionali (NATO, ONU, Ucraina, Israele/Gaza), (4) le relazioni economiche che ora affrontano le sfide più gravi degli ultimi decenni e (5) la capacità del Canada di ospitare il vertice del G-7 di quest’anno pesano tutte sulle spalle del successore.

Alla base di tutto questo c’è la minaccia esistenziale posta da Donald Trump. Non c’è da stupirsi che un Trudeau con gli occhi lacrimosi sembrasse volere che gli spettatori e i lettori lo inondassero di empatia e compassione, piuttosto che incolparlo per ciò che seguirà nei prossimi giorni. Resta da vedere se il Partito e il pubblico saranno più gentili con lui di quanto gli eventi suggeriscano che lui sia stato con loro.

Non vediamo l’ora di trovare un sostituto che possa interrompere il ciclo in tre parti che segue la consapevolezza di un problema latente, critico e corrosivo di lunga data: shock, spacconata e panico.

Il Partito Liberale aveva la reputazione di essere in grado di offrire alternative pragmatiche. Auguriamo al vincitore del concorso la capacità di manifestare la stessa qualità per il Paese.

Traduzione in Italiano – dall’originale in Inglese – a cura di Marzio Pelù

Nella foto in alto, i quattro candidati alla leadership liberale (foto da Twitter X: @liberal_party): da sinistra Mark Carney, Chrystia Freeland, Karina Gould e Frank Baylis 

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