Immigrazione

In viaggio con un ferro
di cavallo in tasca

Proseguiamo la pubblicazione degli articoli dedicati all’immigrazione italiana in Canada, che prendono spunto dalla storia degli oggetti che gli emigrati hanno portato con sé nel viaggio dal Belpaese alla nuova terra. L’iniziativa rientra nel progetto “Narrarsi altrove, viaggio tra i cimeli e i luoghi dell’anima” della poetessa Anna Ciardullo Villapiana e della docente Stella Paola, con la collaborazione di Gabriel Niccoli, professore emerito dell’Università di Waterloo e membro del consiglio di amministrazione dell’Italian-Canadian Archives Project (ICAP), network nazionale sotto i cui auspici opera il suddetto studio poetico.

TORONTO – Quando ha lasciato la sua casa assolata di Calabria Dominic D’Urzo ha portato con sé, nella valigia, quattro oggetti: due chiavi, un mortaio e un ferro di cavallo.

A cosa sarebbe servita una chiave, mi domando, se non ad aprire la porta della memoria, le cui stanze erano penetrate dalla luce del trascorso e avvolte dal buio dell’avvenire.

A cosa sarebbe servito un mortaio che non avrebbe schiacciato sale né peperoncino? Ma il ferro di un cavallo, quello sì che sarebbe stato necessario per affrontare il viaggio verso l’ignoto.

Come ci ricordano tante storie di leggende e di superstizioni appartenenti a diverse culture e ad epoche diverse, l’oggetto lo avrebbe protetto dai pericoli, dal malocchio, dai demoni, gli avrebbe ricordato Iside con la sua forma semilunare, o il serpente sacro della tradizione cinese, Nagendra, il cui corpo curvo era così simile ai percorsi tortuosi che Dominic (nella foto sotto) avrebbe affrontato nella sua vita oltreoceano.

Forse Dominic da psicoterapeuta si è lasciato influenzare dalla teoria di Jung, se “i casi fortunati appartengono alla sincronia” allora portare nelle proprie tasche il ferro di un cavallo “senza nome”, come lo ha definito egli stesso, non poteva che essere di buon auspicio per permettegli di attraversare il “deserto” della famosa canzone degli America e lasciare il “cavallo correre libero” di nitrire il suo nome quando il deserto si sarebbe “trasformato in mare”, impedendogli di finire in acqua come i cavalli di Horse Latitude della famosa poesia di Jim Morrison.

“U cabaju”, in dialetto calabrese, era l’animale impiegato nella fattoria di nonno Domenico, di cui il nostro intervistato porta il nome. Nella sua tenuta di Sant’Onofrio, in provincia di Vibo Valentia, veniva utilizzato come strumento di lavoro per tirare un calesse carico di attrezzi.
In quell’America lontana il ferro di cavallo che, Dominic, nei suoi anni di infanzia e giovinezza, vide appeso alle mura della sua casa, sarebbe stato un talismano, un amuleto fatto di quel metallo sacro utile ad attirare le energie positive e a liberare chi ne era in possesso dal maligno o semplicemente rappresentava per Dominic la metafora del duro lavoro e del senso di solitudine che lo avrebbe atteso durante il suo periodo di “esilio” canadese.

Il ferro di cavallo diventa dunque il simbolo di un viaggio reale ed onirico sul suo transatlantico greco Nea Hellas.

Gli antenati di Dominic erano due fratelli ebrei che parteciparono ai moti del 1820-’21, a Napoli furono cattturati ed esiliati in Calabria.

Il bisnonno di Dominic, Onofrio, comprò un terreno alla periferia del paese che, alla sua morte, diede in eredità a Domenico, nato nel 1875, che in seguito, vi costruì una casa.

La casa e il terreno furono ereditati dal figlio Gerardo nel 1950, che, con la dote di sua moglie Antonietta, vi costruì una casa più grande attaccata al casolare originale. Gerardo ad un certo punto della sua vita decise di partire. Giunse ad Halifax il 21 Giugno 1951, da solo, la sua famiglia lo raggiunse qualche anno dopo. Dominic trascorse la sua adolescenza in Italia, dove frequentò le scuole medie e il liceo e in seguito si trasferì a Toronto dove continuò i suoi studi, conseguì un PHD in psicologia e divenne psicoterapeuta e ipnoterapeuta.

Dominic ha coltivato molte passioni in questa nuova terra, dalla pittura alla poesia, dallo studio delle lingue (ne conosce almeno sette) allo sport.

Ha molti ricordi della sua vita in Italia, ma come scrisse egli stesso, negli anni, si è sempre sentito disorientato, sradicato, senza patria né Dio.

Anna Ciardullo Villapiana

Ecco la poesia di Anna Ciardullo Villapiana ispirata dalla storia di Dominic.

Ho calpestato terre straniere senza radici né Dio
ho sfogliato pagine di inchiostro e di ricordi
portando nelle tasche il ferro di un cavallo senza nome.
Custodivo chiavi che non avrebbero aperto nessuna porta
restituendo le loro stanze al passato
ma mi piaceva spiare dalla serratura
quel raggio di luce che le penetrava.
Perseguitarono i miei avi ebrei
li esiliarono
esiliarono me
con un mortaio tra le mani
sul calesse azzurro
di una nave greca
che mi pose davanti ad uno specchio
ad ascoltare voci
e dal ventre della madre dal quale uscii
per una seconda volta leso
sacro come metallo
non ho mai smesso di proteggere
ciò che vive da ciò che muore.

Anna, Stella e Gabriel: tre prof alla ricerca delle radici italiane

TORONTO – Le professoresse Anna Ciardullo Villapiana e Stella Gualtieri Paola stanno lavorando con entusiasmo e passione al progetto fra storia, cultura e poesia che si propone di raccontare, in modo nuovo, le tante vicende che hanno avuto come protagonisti, spesso silenziosi e sconosciuti, i tantissimi connazionali arrivati in Canada dal Belpaese.

Vicende che le due insegnanti conoscono bene, essendo entrambe di origine italiana e residenti in Canada.

Stella, la cui famiglia proviene da Figline Vegliaturo, in provincia di Cosenza, Calabria, è nata in Sault Ste. Marie, Ontario, e vive con suo marito a Waterloo. Insegna alla Resurrection Catholic Secondary School e per lei l’insegnamento è molto più che lavoro. È una vocazione profonda. Si impegna tantissimo ad aiutare gli studenti a scoprire se stessi attraverso qualsiasi curriculum – religione o lingue. Nella scoperta della sua Italianità, Stella si è dedicata allo studio della diaspora proprio come la sua collega e poetessa Anna Ciardullo Villapiana.

Anna, nata a Cosenza dove ha vissuto per circa trent’anni, nel 2003 si è trasferita in Canada dove, sposata, con due figli, ha iniziato la carriera di insegnante di Italiano e di interprete e dove ha potuto coltivare una passione che la accompagna fin dall’adolescenza: quella per la poesia. Qui, infatti, Villapiana ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Percorsi Interiori” nel 2007, seguita nel 2015 da “Frammenti di Luce” e nel 2018 da “Al di là del mare, Dialoghi DiVersi”. Stimata socia dell’AICW (Association of Italian Canadian Writers) ha partecipato a molte iniziative e svariate conferenze per la conservazione della lingua e tradizione italiane nella realtà canadese notoriamente multiculturale. È inoltre co-chair della Waterloo Chapter Committee dell’Italian Canadian Archives Project (ICAP), una rete di beneficenza fondata per connettere e coinvolgere comunità, gruppi locali, individui, esperti e istituzioni pertinenti-come archive e musei- in tutto il Canada al fine di preservare e rendere accessibile il patrimonio italocanadese.

E proprio questo suo percorso nell’Italianità l’ha portata a elaborare, insieme a Stella, con la collaborazione del professor Gabriel Niccoli dell’Università di Waterloo e membro del consiglio di amministrazione dell’ICAP, il progetto in questione che, come si era detto in precedenza, trova adesso spazio nelle pagine del Corriere Canadese: ogni settimana, dunque, il nostro giornale racconta storie di immigrazione dall’Italia, partendo da un oggetto caro a chi è partito, per scelta o necessità, spesso lasciando “pezzi” di cuore nel Belpaese ma a volte portandosene qualcuno con sé.

Da queste storie, Villapiana si è lasciata ispirare per comporre poesie, sia in Italiano che in Inglese, intense ed emozionanti, che pubblicheremo insieme ai racconti degli emigrati.

Qui sotto, il trailer del progetto, realizzato con poesie di Anna Ciardullo Villapiana, letture di Gianluca Lalli e Stella Paola e musiche di Francesco DeGregori, Gianluca Lalli e Juneyt.

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