Cultura

Il viaggio nell’aldilà di Paolo Genovese: “Il primo giorno della mia vita”

TORONTO – Con 10.000 ore di riprese il documentario del 2006 intitolato “The Bridge” cattura i suicidi al largo del Golden Gate Bridge. Dopo aver visto questo film, l’autore e regista italiano Paolo Genovese è rimasto affascinato da ciò che i sopravvissuti al suicidio hanno confessato nelle interviste. “Tutti loro, in sette secondi, che è il tempo che ci vuole [dal Golden Gate Bridge] per toccare l’acqua, si erano pentiti. Questi sette secondi mi hanno affascinato. Come è possibile che una decisione presa per tutta la vita, così elaborata, inevitabile o incredibile, possa essere ribaltata in soli sette secondi? Mi sono chiesto quando si tocca il fondo e quando non c’è più niente da fare, quali cose possono portarti a cambiare idea?”. Le domande sollevate dal controverso documentario sono alla base del libro di Genovese “Il primo giorno della mia vita” e del suo eventuale adattamento cinematografico nel 2023.

La storia inizia con un misterioso uomo senza nome, interpretato da Tony Servillo, che saluta quattro individui suicidi pochi istanti dopo la loro morte. Nel corso dei sette giorni seguenti a queste anime perdute viene mostrato il loro probabile futuro, nel caso in cui desiderino invertire la loro decisione. Il tempo è sospeso e i personaggi non sono né vivi né morti, probabile metafora del loro stato d’animo. L’umorismo barocco e la discesa spirituale del film ricordano la Divina Commedia di Dante Alighieri. Infatti, uno dei personaggi passa addirittura davanti a un murale romano fuori dai sentieri battuti della città, raffigurante Dante Alighieri. La storia di Genovese prende in qualche modo a prestito dal viaggio di Dante nel purgatorio, un luogo che il poeta fiorentino riteneva trasformativo – un luogo di auto-riflessione di prim’ordine. E proprio come Dante credeva che non possiamo vivere bene se non sappiamo amare bene, i personaggi di Genovese devono riscoprire il loro amore, non solo per gli altri o per se stessi, ma anche per ciò che li ispira di più.

Ad alcuni la storia a volte potrebbe sembrare un po’ banale o addirittura melodrammatica, una conseguenza inevitabile quando si affronta il tema complicato e spesso evitato della morte o dell’aldilà. Eppure Genovese fa bene a non semplificare eccessivamente la difficile situazione dei suicidi, o la complessità di dover convivere con gli effetti di un trauma profondo e di una depressione implacabile. La storia di Genovese è costantemente piena di speranza nonostante la disperazione, senza mai sminuire l’arduo viaggio della riabilitazione. In un momento cruciale del film, ad esempio, l’Uomo misterioso di Servillo porta il suo gruppo ad un belvedere notturno. Lì, guardando le luci della città, le spegne magicamente. Poi le riaccende dicendo:

“Non posso garantire che sarete tutti felici. Un giorno sarai una di quelle luci accese e un altro giorno una luce spenta. Ma una cosa che spero è che tu abbia nostalgia della felicità. E forse questo ti darà la voglia di cercarla ancora”.

Il film di Paolo Genovese si può definire proprio così: nostalgia della felicità. A questo spettatore ha ispirato nostalgia per i grandi film e registi italiani che continuiamo a guardare nelle scuole di cinema, nei festival cinematografici e con le nostre famiglie. Ci ricorda che un tempo l’Italia era all’avanguardia nel cinema, attraverso autori come Fellini, Antonioni, Pasolini e molti altri. Fortunatamente, ci sono diverse luci che continuano a brillare sul cinema italiano moderno, e una di queste si chiama Paolo Genovese.

Nelle foto sopra: una scena del film “Il primo giorno della mia vita” e la locandina 

Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

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