Immigrazione

“Il paese di Joe Volpe
rivive con i migranti”

Il quotidiano italiano Corriere della Sera ha dedicato, sabato 9 ottobre, un ampio servizio a Monteleone di Puglia, citando il nostro Editore (originario di Monteleone) e il Corriere Canadese. Ecco l’articolo, firmato da Carlo Vulpio.

MONTELEONE DI PUGLIA – Quando emigrò a Toronto era il 1955, e Giuseppe Volpe aveva otto anni. Nel 2003 «Joe» Volpe sarebbe diventato ministro del Lavoro e nel 2005 ministro dell’Immigrazione del Canada. Oggi, a 74 anni, la stessa età di Mario Draghi, è l’editore del Corriere Canadese. Joe Volpe se ne andò negli anni in cui il suo paesino-presepe sui Monti Dauni – nel 1929 per volontà del re Vittorio Emanuele III passato dalla provincia di Avellino a quella di Foggia, ma in realtà in tutto e per tutto borgo dell’Irpinia – stava subendo la più forte emigrazione della sua storia: dal 1950 al 1960, 1.500 persone partirono per l’estero, specialmente per l’America e, da Monteleone, quasi tutte per il Canada, a Toronto. La popolazione del borgo, in quel decennio crollò da 5.000 a 3.500 abitanti. Ma era ancora niente rispetto ai mille abitanti che Joe Volpe avrebbe trovato quando da ministro canadese è tornato in visita a casa, nel XXI secolo. I mille superstiti che oggi vivono nel paese più alto della Puglia – 842 metri sul livello del mare e paesaggi stupendi rovinati da foreste di orrende e inutili pale eoliche – non rappresentano soltanto un pesante decremento demografico, sono la cifra drammatica dello spopolamento. E questo è il primo punto della nostra storia.

Il paese di Monteleone di Puglia (foto dal blog del giornalista Carlo Vulpio)

Il secondo è nei centri di accoglienza per immigrati, che qui sono due. Solo Monteleone di Puglia e altri 8 comuni (meridionali), sui complessivi 168 italiani con meno di 2.500 abitanti, hanno due centri di accoglienza. Non uno, ma due. Fino a poco tempo fa si chiamavano Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), ora si chiamano Sai (Sistema accoglienza integrazione). A Monteleone ce n’è uno per minori non accompagnati che si chiama «Orsa Maggiore», dove risiedono 15 ragazzi, e uno per adulti, «Piroscafo Duca d’Aosta», che tra single e nuclei familiari ospita 25 persone. Sono bengalesi, eritrei, nigeriani, egiziani, tunisini. Il nome del centro non è casuale, è quello della storica nave che nei primi decenni del secolo scorso ha trasportato oltreoceano «orde» di italiani e gran parte degli emigranti monteleonesi. Facile quindi capire perché il sindaco Giovanni Campese – infermiere, 67 anni, ferratissimo in storia, al suo terzo mandato – abbia voluto ridenominare il paesino-presepe disabitato in «Borgo dell’accoglienza, della pace e della non violenza».

Dice Campese: «L’accoglienza senza l’integrazione non basta e può essere persino dannosa. A chi arriva qui, nel limite numerico che possiamo sostenere, noi offriamo prima di tutto la scuola, dove imparare l’italiano. Organizziamo iniziative di vita sociale perché i nuovi arrivati non si isolino e non vengano ghettizzati e alla fine di questo percorso, che non può durare meno di due o tre anni, cerchiamo di inserirli nel mondo del lavoro, quello regolare, non a nero, perché è nostro interesse che questi migranti non vadano via e arrestino l’emorragia demografica del paese».

Alcuni dei migranti arrivati a Monteleone già lavorano in una fabbrica di serramenti, mentre gli altri, per sottrarli all’ozio forzato, vengono impiegati dal Comune come volontari nella pulizia delle strade e delle aiuole pubbliche – e infatti il paese è pulitissimo -, e poi invitati a cena o a pranzo in tavolate che sembrano feste matrimoniali. In più, con l’istituzione del Premio internazionale per la pace e la non violenza (tra i premiati, la figlia di Martin Luther King, Bernice Albertine) e il Festival dell’arte urbana diffusa (con gli artisti che decorano di murales Monteleone e le vicine Ariano Irpino e Vallesaccarda) da alcuni anni il borgo è tornato a essere ciò che era stato con Ruggero il Normanno nel 1140. Allora, il Re di Sicilia scelse questo luogo per la sua posizione centrale, equidistante dal Tirreno e dall’Adriatico, per promulgare le leggi fondamentali del suo regno. Oggi è di nuovo epicentro di avvenimenti, storie, incontro di popoli e culture, casa dell’autonomia di pensiero e della proposta di un modello di accoglienza e integrazione. Come del resto per Monteleone è sempre stato, con l’accoglienza e l’asilo di eretici catari e valdesi, le ribellioni agli inquisitori mandati da Antonio Ghislieri, il futuro papa Pio V, fino alla prima rivolta di popolo contro il regime fascista che si sia avuta in Italia, «Lu R’bell», con protagoniste le donne, il 23 agosto 1942.

Adesso, affinché questo modello di «accoglienza più integrazione» si affermi ovunque, dice Campese, «occorre che il potere centrale e tutta la filiera istituzionale adottino a livello governativo e regionale le misure idonee a perseguire questo obiettivo. Per esempio, noi abbiamo pronti i nostri progetti, messi a punto con il Confat, un consorzio di 18 imprese forestali, e vorremmo che entro sei mesi diventino esecutivi». Si tratta di 80 ettari di boschi da curare, terreni da recuperare, frutteti da piantumare, laboratori di formazione da organizzare e attività di marketing. E nuovi posti di lavoro, per autoctoni e non.

Il Corriere Canadese di Joe Volpe potrà raccontare ai 20 mila monteleonesi di prima, seconda e terza generazione residenti a Toronto che dopo un secolo da Monteleone non si emigra più.

Carlo Vulpio
Corriere della Sera 9/10/2021

Le foto sono tratte dal blog del giornalista Carlo Vulpio, qui: Il paese (ripopolato) di Joe Volpe emigrato in Canada e diventato ministro


Nelle foto, da sinistra: la piazza del Municipio; un cartello stradale; la premiazione della figlia di Martin Luther King, Bernice Albertine

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