TORONTO – A quattro mesi dalle elezioni presidenziali americane, il neoeletto Presidente è riuscito a definire… il Canada. Sì, avete letto bene. A quanto pare, i consiglieri del Primo Ministro Justin Trudeau, ansiosi di anticipare i tempi, organizzarono una cena privata con ‘The Donald’ a Mar-a-Lago, così da poter dimostrare a tutti che lui – cioè JT – era ancora “l’uomo“, nonostante sondaggi e caucus non reggessero.
Il leader della Nazione più potente del mondo non ne voleva sapere. Nel giro di pochi giorni, le sue parole hanno letteralmente provocato un rimpasto di governo in Canada e richieste di dimissioni di JT. Trump ha chiesto l’aumento dei dazi sui prodotti canadesi e [scherzosamente] ha fatto riferimento alla posizione commerciale più favorevole del Canada, qualora fosse diventato il 51° Stato degli Stati Uniti.
La sovranità, o l’incapacità di garantirla, è sfuggita alle competenze di JT, che si è dimesso, chiedendo un congresso per sostituirlo, prima che il Parlamento canadese si riunisse per approvare un aggiornamento del bilancio. L’ironia dell’ “interferenza straniera” è/era la questione di una campagna elettorale che avrebbe potuto essere rinviata all’autunno del 2025, quando un approccio più sobrio alla valutazione del “pericolo” ed alla presa di decisioni opportunamente vitali avrebbe potuto rivelarsi più adatto.
Si può sostenere che la questione della “sovranità” – economica e/o politica – nel Canada del secondo dopoguerra sia un tema ricorrente. Anche un esame superficiale rivelerà una “base industriale” in evoluzione, non sempre a “nostro vantaggio” in settori come l’aerospaziale, l’automobilistico, il farmaceutico, l’acciaio, la produzione agricola, il Wheat Board, la Politica Energetica Nazionale, il legname per l’edilizia, la pesca industriale, ecc. L’impatto conseguente di queste soluzioni è stato quello di trasformare la nostra economia in un “grande affare” continentale integrato, e meno di un’entità nazionale dinamica con affinità di mercato per le relazioni Est-Ovest (interprovinciali); purtroppo, praticamente nessuna di queste attività è significativa quanto quelle con la nostra clientela Nord-Sud (valutata a circa 1,2 trilioni di dollari all’anno, poco meno del 60% del PIL).
Da una prospettiva politica, “la minaccia all’unità” deriva maggiormente dalle autorità costituzionalmente riconosciute ed esercitate dalle giurisdizioni provinciali, difese con maggior vigore dalla provincia del Québec e dai suoi più attuali sostenitori “patrioti”: il Bloc Québecois. Un referendum promosso dal loro fondatore, l’Onorevole Lucien Bouchard, si è concluso con un margine di 55.000 voti a favore dei pro-Canada (in gran parte provenienti dalla zona occidentale di Montreal, non francofona e dominata dagli italiani). Bouchard fece l'(in)famoso riferimento al Canada come “un non-vero Paese”. L’attuale leader del Bloc, Yves-François Blanchet, sottolinea la natura “artificiale” dei suoi confini, della sua economia e della sua cultura.
Come si inserisce Trump in tutto questo? Non c’entra; eppure nessun leader dei partiti in campagna elettorale ha sottolineato di essere più attrezzato per difendere il Canada dalle mire predatorie americane sulle nostre terre e sui suoi popoli. Lo dimostreranno alla prima occasione e una volta eletti.
Perché aspettare? Solo perché i consiglieri “birra e popcorn” non hanno potuto, o non hanno voluto, vedere l’occasione d’oro rappresentata dall’invito a partecipare al funerale di Papa Francesco come parte di una delegazione speciale in un’area riservata ai capi di governo? Il costo “in termini di tempo” lontano dai comizi elettorali? Non più di 36 ore, incluso il viaggio andata e ritorno (leggete il nostro precedente articolo del 24 aprile qui).
Una lettrice di Mississauga ha espresso delusione e frustrazione per l’assenza del suo governo a uno degli eventi cattolici più significativi al mondo oggi. I numeri parlano chiaro: oltre 250.000 persone hanno partecipato alla veglia funebre, circa 500.000 al funerale in Piazza San Pietro, almeno altre 500.000 si sono riversate lungo le strade verso la tomba, con tanto di reti televisive nazionali, comprese quelle del nostro Paese, ansiose di sottolineare il sapore canadese. Nessuno avrebbe perso l’occasione di impressionare il proprio elettorato.
Donald Trump e Volodymyr Zelensky hanno colto l’attimo per un incontro proprio all’interno della Basilica di San Pietro, aiutati dai cardinali ad organizzare un faccia a faccia improvvisato sulla “pace” in Ucraina. Chi è il cattivo ora?
Traduzione in Italiano – dall’originale in Inglese – a cura di Marzio Pelù
Nella foto in alto, il presidente americano Donald Trump con quello ucraino Volodymyr Zelensky a colloquio nella Basilica di San Pietro: un’immagine che resterà nella storia (foto: Twitter X – @VaticanNews)