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Fattori di rischio: età avanzata e mali pregressi

TORONTO – Età avanzata e patologie pregresse. Sono questi i due fattori principali di rischio per il Covid-19, anche se nella casistica delle vittime sono presenti anche giovani e giovanissimi. A fornirci la nuova istantanea completa di quanto sta accadendo è l’Istituto Superiore di Sanità in Italia (ISS), l’ente che prima di tutti al mondo, con grande trasparenza e competenza, ha presentato alla comunità scientifica internazionale la mappatura medica, demografica e geografica delle vittime di Covid-19.
Dall’inizio della pandemia l’ISS ha pubblicato numerosi studi per capire il grado di incidenza del contagio e la capacità del Covid di aggredire le fasce più deboli della società. I numeri italiani sono comparabili con quello che sta accadendo anche qui in Canada, dove la maggior parte delle vittime sono anziani ricoverati nelle case di cura a lunga degenza.
L’Istituto ci consegna un rapporto che analizza per fi lo e per segno la situazione in Italia del 2 dicembre 2020, quando in Italia le vittime erano 55.824. Ma quali sono i dati principali dello studio?
Innanzitutto, l’ISS conferma come il primo fattore decisivo nel pesante bilancio delle vittime sia quello che riguarda l’età: più è avanzata e più il paziente di Covid è a rischio (vedi il grafico in alto). L’età media dei pazienti deceduti e positivi al coronavirus è di 80 anni. Delle 55.824 vittime italiane, 23.92 avevano da 80 a 89 anni, 10.588 avevano più di 90 anni, 14.142 avevano tra i 70 e gli 80 anni. Su 55.824 vittime in Italia, appena 657 avevano meno di 50 anni. In particolare, 163 di queste avevano meno di 40 anni (102 uomini e 61 donne con età compresa tra 0 X e 39 anni). Tra loro solamente 15 non avevano diagnosticate patologie di rilievo.
Ed eccolo quindi il secondo fattore decisivo, che spiega perfettamente le dinamiche di sviluppo del contagio e le conseguenze mediche per chi ha contratto il virus; la presenza o meno di malattie per il paziente prima del contagio.

Il tasso di mortalità per Covid- 19 è caratterizzato dalle condizioni mediche preesistenti.
Per analizzarle, l’Istituto Superiore di Sanità ha passato al vaglio le cartelle cliniche di 5.726 deceduti in Italia a causa del coronavirus.
Il numero medio di patologie osservate in questo consistente campione di vittime è di 3,6.
Complessivamente, 180 pazienti (3,1 per cento del campione) presentavano 0 patologie, 712 (12,4 per cento) presentavano 1 patologia, 1060 (18,5 per cento) presentavano 2 patologie e 3.774 (66 per cento) presentavano 3 o più patologie (vedi il grafico qui a fianco).
Prima del ricovero in ospedale, il 21% dei pazienti morti positivi al virus seguiva una terapia con Ace inibitori e il 14% assumeva sartani (bloccanti del recettore per l’angiotensina). L’ipertensione è la patologia preesistente più frequente (nel 65,7% dei casi).
La terapia antibiotica è stata comunemente utilizzata nel corso del ricovero (86,2% dei casi), meno usata quella antivirale (54,9%), più raramente la terapia steroidea (46,0%). Il comune utilizzo di terapia antibiotica può essere spiegato, si legge nel report, dalla presenza di sovrainfezioni o è compatibile con inizio terapia empirica in pazienti con polmonite, in attesa di conferma da esami di laboratorio di Covid-19. In 1296 casi (26,1%) sono state utilizzate tutte e tre le terapie. Al 4,5% dei pazienti deceduti positivi all’infezione da Sars-CoV-2 è stato somministrato Tocilizumab.
Infine il report fornisce i dati sui tempi mediani (in giorni) che trascorrono dall’insorgenza dei sintomi al decesso (12 giorni), dall’insorgenza dei sintomi al ricovero in ospedale (5 giorni) e dal ricovero in ospedale al decesso (7 giorni). Il tempo intercorso dal ricovero in ospedale al decesso è di 6 giorni più lungo in coloro che sono stati trasferiti in rianimazione rispetto agli altri.
Questi dati non puntano affatto a voler minimizzare l’impatto del Covid-19 su tutte le fasce della popolazione. In tutto il mondo esistono tanti casi di decessi di persone giovani e sanissime e questo rappresenta un dato di fatto del quale si deve sempre tenere conto. Allo stesso tempo però i virologi e gli epidemiologi impegnati nella ricerca di terapie e cure efficaci contro il coronavirus confermano come la malattia non colpisca tutti, indistintamente e allo stesso modo.
Il Covid aggredisce soprattutto i più deboli. E non tanto nella fase del contagio, laddove il virus colpisce senza guardare la carta d’identità o la cartella clinica della sua vittima, ma in quella successiva.
La comunità scientifica deve trovare ancora le risposte alle tante sfide lanciate da questa terribile pandemia anche adesso dove iniziamo a intravedere la fine del tunnel grazie al vaccino.

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