Il Commento

Elezioni: promesse senza responsabilità

TORONTO – È sempre stato così in un ambiente democratico: ti viene concesso il privilegio di prendere decisioni e sei ritenuto responsabile delle tue azioni. Non in queste elezioni, a quanto pare. L’ex Primo Ministro, incredibilmente vituperato dal pubblico e dal suo stesso partito, ha privato il pubblico dell’opportunità di condannarlo all’ignominia che accompagna la sconfitta alle urne. Ha lasciato il suo incarico quando gli è diventato chiaro che i cittadini e i governi di tutto il Paese lo consideravano una calamita per tutte le cose tossiche. I sondaggi di opinione pubblica hanno suggerito la campana a morto per il suo partito.

Quegli stessi sondaggi ora indicano un “esito elettorale non più così scontato”. L’ondata di rappresentanti delle relazioni governative pagati per promuovere una nota positiva favorevole al loro partito ha inondato i talk show politici. Persino i solitamente supini “strateghi liberali” gongolano, in onda, che la partenza del loro leader ha sollevato la cappa di oscurità e disperazione che aleggiava giustamente sul loro partito e ha spostato il peso della responsabilità dalle sue spalle a quelle dell’opposizione. Ma le opposizioni non sono responsabili. Se così fosse, rappresenterebbe una svolta innovativa del concetto di obbligo e responsabilità.

Qualcuno deve rispondere di tutte le politiche e iniziative che il governo ha proposto, implementato e promosso di fronte alle posizioni contrarie sostenute dai propri membri, dalla teoria economica e dalla coesione nazionale. I partiti di opposizione ed il nuovo Primo Ministro stanno ora entrambi attingendo allo stesso repertorio promettendo di invertire virtualmente tutte le politiche divisive, se non ugualmente nocive, socialmente dannose del governo.

Il primo ministro Carney ha avuto la scena pubblica tutta per sé nell’ultima settimana, poiché ha sfruttato il suo ufficio per il massimo vantaggio politico, per dipingere se stesso come uno statista internazionale. Bene per lui: buone tattiche. Pierre Polievre, lo ha contrastato con una politica sostanziale che affronta le carenze di risorse umane, di qualità e di mobilità. L’NDP di Jagmeet Singh, colto di sorpresa, o almeno così sembra, continua la sua disastrosa discesa verso il basso.

Non dovremmo aspettarci un rapido cambiamento di tattica. Il Paese sembra essere stato conquistato dal concetto che c’è solo un problema in questa elezione: la minaccia di guerra economica con la quale Donald Trump mette in dubbio l’esistenza della sovranità canadese. Non sono tutte cattive notizie. I leader politici, a tutti i livelli di governo, affermano di aver scoperto che dobbiamo eliminare i dazi e gli ostacoli non tariffari al commercio interprovinciale, se vogliamo sperare di sostituire il mercato statunitense. Insistono sul fatto che stanno procedendo con i piani per affrontare questo problema, con urgenza, dopo le elezioni. Potrebbe aiutare, un po’.

Ma alcune Province stanno già “tornando indietro” dal loro entusiasmo per quell’iniziativa. In ogni caso, per quanto preziosa essa possa essere, è improbabile che abbia un impatto significativo sugli oltre 500 miliardi di dollari di esportazioni (annui) verso gli USA soggette alla tariffa del 25% minacciata per il 2 aprile. Ciò rappresenterebbe circa 125 miliardi di dollari di disincentivo per gli americani che attualmente importano i nostri prodotti ed un importo equivalente che imporremmo ai nostri consumatori se portassimo avanti misure di ritorsione.

Come siamo finiti in questo pasticcio?

Traduzione in Italiano – dall’originale in Inglese – a cura di Marzio Pelù

Nelle foto in alto: Pierre Poilievre, Jagmeet Singh e Mark Carney (foto dai rispettivi profili Twitter X)

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