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Dazi Usa: fino all’ultimo, nessuna certezza

TORONTO – Come su un’altalena, fino all’ultimo: mentre mancano poche ore all’entrata in vigore (annunciata e presunta) dei dazi americani, l’oscillazione prosegue. Ieri, alla vigilia della scadenza fissata per le nuove tariffe (che sarebbe domani 4 marzo), Howard Lutnick – segretario al Commercio del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – ha infatti affermato che potrebbero esserci modifiche al piano originale del 25%.

In un’intervista a “Sunday Morning Futures” di Fox News, Lutnick ha infatti detto che ci sarebbero, sì, dazi su Canada e Messico a partire dalla data annunciata del 4 marzo, ma sarà il presidente Trump a determinare a quali livelli.

La dichiarazione arriva tre giorni dopo che il presidente statunitense ha affermato che le sue minacciate tariffe del 25% contro Canada e Messico sarebbero andate avanti come previsto. In un post di giovedì scorso sulla sua piattaforma di social media “Truth”, Trump ha ribadito che queste tariffe sono collegate ai flussi di droghe (Fentanyl) e di migranti negli Stati Uniti da entrambi i Paesi.

Tuttavia, Lutnick ha detto alla conduttrice di Fox News Maria Bartiromo che il Canada e il Messico hanno svolto un “lavoro ragionevole al confine. Stanno entrambi lavorando duramente”, ha detto Lutnick. “Ma il ‘Fentanyl’ continua ad entrare in questo Paese e continua ad uccidere la nostra gente. Sì, Canada e Messico hanno fatto molto, quindi in questo momento la situazione è fluida”.

Però, come riporta anche Global News, andando a vedere numeri e fatti, quella di Trump sembra tutta una grande montatura. Stando ai dati federali canadesi, infatti, meno dell’1% del ‘Fentanyl’ che entra negli Stati Uniti proviene dal Canada. Anche i dati dell’agenzia statunitense Customs and Border Protection mostrano che a gennaio i sequestri di ‘Fentanyl’ al confine tra Canada e Stati Uniti sono scesi ai livelli più bassi dal 2023, con meno di 14 grammi sequestrati durante il mese. Nell’ultimo anno fiscale sono stati sequestrati oltre 19 chilogrammi di fentanil proveniente dal Canada.

Il primo ministro Justin Trudeau e vari ministri del governo canadese hanno sottolineato che i sequestri di ‘Fentanyl’ al confine sono diminuiti del 90% nell’ultimo mese. Eppure giovedì scorso Trump ha ribadito che il Canada non ha fatto progressi nel fermare il ‘Fentanyl’, “per niente”.

Tuttavia, non saranno solo Canada e Messico a dover affrontare le nuove tariffe. Trump è infatti intenzionato ad aumentare ulteriormente le tariffe sulla Cina dal 10% al 20%, a meno che la Cina non metta fine al traffico di ‘Fentanyl’ negli Stati Uniti. E poi c’è l’incognita del legname canadese: ci sarebbero infatti ulteriori tariffe in arrivo anche sulle importazioni statunitensi di legname canadese. Non resta che attendere il prossimo giro di altalena.

Le reazioni in Europa e le conseguenze per l’Italia

ROMA – Anche in Europa si rischia una possibile escalation commerciale con gli Usa di Donald Trump. Le tariffe doganali del 25%, che dovrebbero colpire – anche in Europa – il settore automobilistico, acciaio e alluminio, rischiano infatti di impattare pesantemente l’economia del Vecchio Continente, con effetti differenziati a seconda del peso delle esportazioni di ogni Paese verso gli Stati Uniti.

La Commissione Europea – come scrive il portale Fanpage.it in un servizio nel quale si fa il punto della situazione sui rapporti commerciali Europa-Usa – ha definito la decisione americana come “ingiustificata”, avvertendo che l’imposizione di dazi potrebbe causare una frammentazione dell’economia globale con una perdita del Pil mondiale stimata fino al 7%, secondo il commissario Ue all’Economia, Valdis Dombrovskis: “Noi li consideriamo ingiustificati. Sarà un problema per la crescita economica sia in Europa sia negli Stati Uniti. E anche altri Paesi. C’è il rischio che si verifichi una frammentazione economica globale. Ci sono stime del Fmi secondo cui a medio termine il Pil globale scenderà del 7%. È come perdere il Pil complessivo della Germania e della Francia. L’impatto negativo è evidente”. E poi aggiunge: “È uno scenario che vogliamo scongiurare. Continueremo ad impegnarci con gli Stati Uniti con un approccio positivo. Ma siamo pronti a reagire in modo fermo e proporzionato con dei contro-dazi quando sarà necessario. Difenderemo le nostre aziende, i nostri lavoratori ed i consumatori”, ha dichiarato Dombrovskis a La Repubblica.

Anche il presidente francese Emmanuel Macron ha adottato una linea estremamente dura, aprendo all’introduzione di “dazi reciproci” su acciaio e alluminio per proteggere le economie europee.

Le tensioni si sono aggravate poi anche a causa delle recenti dichiarazioni di Trump, che ha definito la nascita dell’Unione Europea come una “fregatura” per gli Stati Uniti, denunciando un deficit commerciale di 300 miliardi di dollari. Il portavoce della Commissione Europea per il Commercio, Olof Gill, ha però rispedito al mittente le accuse, ricordando come il mercato unico europeo abbia sempre favorito gli investimenti e il commercio americano: “Sin dalla sua fondazione l’Ue è stata una manna per gli Stati Uniti, creando un mercato integrato che ha ridotto i costi per gli esportatori americani ed armonizzato le normative tra gli Stati membri”.

All’interno dell’Unione Europea, tuttavia, le reazioni variano in base alla dipendenza commerciale di ciascun Paese dagli Stati Uniti: Agathe Demarais, analista dell’European Council on Foreign Relations, ha evidenziato che le economie più esposte sono Austria, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Portogallo e Svezia. Mentre i Paesi del Nord Europa invocano una risposta compatta, Francia e Germania spingono per misure di ritorsione. La linea più cauta è invece sostenuta dal Partito Popolare Europeo, che invita ad evitare una guerra commerciale.

Come spiega ancora Fanpage.it, l’Italia si trova, tra tutti, in una posizione particolarmente delicata, essendo il Paese europeo più esposto ai dazi americani. Secondo Confindustria, il mercato statunitense rappresenta il 22,2% delle esportazioni italiane fuori dall’Ue, con settori come automotive, farmaceutico, agroalimentare e moda tra i più colpiti: il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha espresso preoccupazione per il rischio di una spirale protezionistica, definendo l’imposizione dei dazi un “colpo finale per l’industria italiana. Serve un patto bipartisan per il Paese e per l’Europa”, ha dichiarato Orsini. Un’analisi di Confindustria ha stimato che l’aggravio per l’economia italiana potrebbe arrivare fino a 7 miliardi di euro, colpendo in particolare il settore manifatturiero e le piccole e medie imprese. Il presidente di Coldiretti ha lanciato l’allarme per l’agroalimentare, con un possibile crollo delle esportazioni e un aumento dei costi per i consumatori americani fino a 2 miliardi di euro.

Sul fronte politico, la maggioranza di governo appare divisa; il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha sorpreso molti sostenendo che l’Italia potrebbe trattare da sola con gli Stati Uniti: “Penso che possa essere bilaterale, perché può essere bilaterale”, ha dichiarato il ministro, lasciando intendere che una trattativa diretta con Trump potrebbe garantire condizioni migliori rispetto agli altri Paesi europei. Sulla stessa linea si è schierato Matteo Salvini, definendo le contro-tariffe europee “ridicole” e lodando Trump come “uomo di business”. Di parere opposto è il governatore del Veneto, Luca Zaia, che ha chiesto una risposta collettiva dell’Ue per evitare di cedere alle pressioni americane: “L’Unione europea deve rispondere in maniera unita, ma la vedo debole, afona, non autorevole. E mi dispiace constatarlo, da europeista”. Anche il vicepremier Antonio Tajani ha ribadito che “le risposte sulla questione dei dazi sono di livello europeo, non nazionale”.

Dura reazione da parte delle opposizioni, che invece accusano il governo Meloni di immobilismo di fronte a una misura che rischia di penalizzare pesantemente imprese, lavoratrici e lavoratori italiani. Secondo la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, “è finito per Giorgia Meloni il tempo del tentennamento: deve scegliere da che parte stare”. E dal Movimento 5 Stelle, il leader Giuseppe Conte lancia un ironico appello: “Anche oggi cercasi patrioti. Spariti dai radar. Meloni, ci sei?”.

La mappa in alto è tratta da Google Maps

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