Cultura

Un archivio online di giornali
italocanadesi tra le due guerre

TORONTO – Da pochi giorni è consultabile gratuitamente online la “‘Angelo Principe’ Italian Canadian Newspaper Collection”, che raccoglie giornali italocanadesi stampati tra le due guerre. La collezione prende il nome da Angelo Principe, insigne studioso dell’esperienza italiana in Canada, che nel 2014 ne ha fatto dono al Clara Thomas Archives and Special Collections della York University. Negli ultimi due anni la “Angelo Principe Collection” è stata oggetto di un imponente lavoro di digitalizzazione curato da Matteo Brera, ricercatore a York. Abbiamo parlato col dottor Brera di questi giornali e del loro recente approdo su internet.

Cominciamo dalla provenienza della collezione: è quasi da romanzo, con un ritrovamento nella soffitta di Augusto Bersani, personaggio piuttosto pittoresco…
«Sì, molti materiali appartenevano infatti ad Augusto Bersani, una figura abbastanza multiforme (sulla quale c’è ancora molto da approfondire) che si muoveva tra le varie sfumature dello spettro politico, tra fascisti e antifascisti, lavorando come facilitatore e informatore, oltre che polemista e pubblicista. Le sue attività lo portavano a ricevere parecchi giornali, pubblicati tra Toronto e Montreal, che lui raccoglieva nella sua casa su Avenue Road, a Toronto. Alla morte di Bersani, che a un certo punto era anche fuggito dal Canada (finendo, pare, per aprire un motel a Buffalo), la casa è passata ripetutamente di mano e, nel corso degli anni, sono cominciati a saltar fuori tutti i materiali che si trovavano lì. Nei primi anni Novanta, Principe ottiene parte dei documenti, fra cui i giornali ora a York, e li integra con ulteriori numeri di testate italo-canadesi che aveva ricevuto in dono da alcuni antifascisti come Benny Bottos e Attilio Bortolotti, mentre il resto delle carte di Bersani prende un’altra strada. La parte più cospicua e anche più significativa dal punto di vista storico dei materiali raccolti da Principe sono queste dodici testate (“Il Bollettino Italo-Canadese”, “L’Italia”, “La Vittoria” e altre), alle quali si aggiungono riproduzioni microfilmate, che aiutano a ricostruire parte della storia della comunità italocanadese dal 1929 al 1946.»

Quali sono le difficoltà materiali nel lavorare con dei giornali così vecchi?
«La nostra è stata un’operazione di servizio anche per facilitare la fruizione di questi documenti che altrimenti sarebbero andati irrimediabilmente perduti: qualcuno è in buone condizioni semplicemente perché praticamente l’ho studiato solo io, ma tutte le volte che giri una pagina, un pezzo se ne va. Anche di qui l’idea della digitalizzazione. I giornali sono documenti fragilissimi, perché stampati su carta facilmente deperibile, e anche per l’uso che se ne fa sono oggetti che hanno naturalmente una vita breve. È un genere di materiale archivistico ad altissimo rischio di estinzione, di fatto ne rimangono pochissime copie. Da questo punto di vista la “Angelo Principe” è una raccolta direi unica per rarità. Inoltre non esiste, a mia conoscenza, un’altra collezione di stampa migrante italiana online che consenta a chiunque di lanciare delle ricerche mirate sugli interi testi».

Come nasce il progetto?
«Ho cominciato a lavorare su questi giornali nella mia ricerca post-dottorale alla University of Toronto; dopo averli visti, è nata naturalmente l’idea di preservarli. Questo è stato reso possibile da una generosa donazione fatta nel 2017 dallo Zorzi Family Italian Canadian Archival Fund, che incentiva appunto lo studio dei materiali archivistici italocanadesi. Il progetto è stato anche sponsorizzato dalla Faculty of Liberal Arts and Professional Studies di York».

Come è stato portato a termine concretamente il lavoro di digitalizzazione?
«Prima c’è stato un lungo lavoro preliminare, quello della “clearance” per la questione del copyright. È stato necessario verificare negli archivi dei trademarks, perché a volte i giornali passano di mano, cambiano proprietario, e magari ci sono degli eredi che possono ancora vantare dei diritti… anche se molti giornali sono fascisti, quindi è difficile che si faccia avanti un erede che voglia rivendicare un’eredità tanto scomoda! Per la digitalizzazione in sé, con gli archivi di York abbiamo trovato una partnership importante con “Our Digital World”, un’organizzazione tecnicamente all’avanguardia, che si inserisce nell’attivismo canadese sul fronte della conservazione dei documenti (la componente principale di questo progetto). Poi ovviamente il lavoro che è stato fatto dopo la produzione del corpus digitale è stato quello di creare tutti i paratesti: al di là della documentazione, il sito ospita delle introduzioni storiche credo abbastanza utili su questi giornali, dei quali spesso non si sa assolutamente nulla».

Qual è il prossimo passo?
«Da un punto di vista scientifico, la pubblicazione di un volume mio e di Angelo Principe che a partire dall’analisi storico-culturale della stampa antifascista possa anche cercare di capire meglio come abbia funzionato l’antifascismo tra Italia, Canada e anche Sud America. I contatti tra fascisti e antifascisti sono ancora da esplorare, specialmente in Canada dove l’antifascismo fu sì attivo, ma non così pubblicamente come il fascismo: pensiamo all’affresco di Mussolini nella Chiesa della Madonna della Difesa a Montreal, sul quale si è molto discusso recentemente. Lavorare sui giornali può aiutare a rimappare questa presenza antifascista, inserendola in un contesto storico definito. Per Principe, questo è anche un modo di coronare la sua bibliografia, dal momento che lui si è occupato attentamente della stampa fascista italo-canadese ma non ha ancora potuto completare il lavoro su quella antifascista. Al di là della ricerca, abbiamo previsto sul sito una sezione dedicata al crowdsourcing, con un link che permette a chiunque avesse documenti di questo tipo di contattarci direttamente. Ovviamente sarebbe un bel colpo di fortuna, però non è impossibile: io stesso ho visto alcune copie di questi giornali circolare nei mercatini, perché la gente non sa che farne. Considera soprattutto che i giornali fascisti vennero fatti sparire in fretta e furia quando cominciarono i raid nel ’40, e non è detto che qualcuno invece di buttarli non li abbia nascosti sotto qualche trave o qualche piastrella. Ritrovamenti del genere sono già capitati, magari mentre si facevano dei lavori di ristrutturazione… Questa del crowdsourcing è una risorsa interessante, perché ovviamente oltre alla possibilità di accrescere la collezione è un modo per coinvolgere la comunità».


Allora invitiamo i nostri lettori a dare un’occhiata nella soffitta del nonno, e speriamo che trovino qualcosa da segnalarvi. Per finire, ci dici qual è secondo te l’aspetto più importante di questo progetto?
«Questa collezione viene resa disponibile liberamente al mondo, ed è la prima di questo genere: non è una cosa da poco. In Nordamerica ci sono moltissimi giornali di questo tipo, ma non sono molto curati, vuoi per mancanza di fondi, di competenze, o un po’ per semplice faciloneria. Sono pochissimi gli studiosi che si occupano di questo ambito (uno è Principe, naturalmente). È un peccato che queste fonti siano così dimenticate, anche perché molti fanno storia della diaspora attraverso la percezione esterna della comunità, mentre i giornali ci parlano dei livelli di integrazione, di assimilazione politica, sociale, di mantenimento dell’identità nazionale… insomma, cosa la comunità stessa diceva di sé. E questo è solo un aspetto, ovviamente: poi ci sono un sacco di altre questioni minori, curiosità, ricerche più specifiche (io, per esempio, ho usato questa risorsa per uno studio su papa Pio XI). Le possibilità sono non dico illimitate, ma davvero molte. Poi, al di là degli interessi specifici, l’idea di questa digitalizzazione viene secondo me da una necessità dei tempi, che riguarda gli studi sulla diaspora italocanadese in particolare, ma non solo…».

…in che senso necessità dei tempi?
«La necessità di riscoprire le fonti scritte, che generalmente in questo periodo si tende spesso ad accantonare, a volte perché conviene: perché se ci sono vanno studiate, altrimenti, facendo scrittura creativa, si può dire di tutto. Secondo me le umanità digitali, in questo periodo di grande spolvero della disciplina, sono utilissime per limitare l’analfabetismo storico oramai dilagante. Penso che la nostra sia stata un’operazione utile in generale, anche di servizio per la comunità scientifica, perché i giornali trovano la loro massima utilità se impiegati nello studio di fenomeni complessi, storici, storico-culturali, sociologici. Questo problema dell’analfabetismo storico mi sta molto a cuore, visto quello che sta succedendo un po’ anche in generale: penso appunto alla questione del dipinto di Mussolini a Montreal, per il quale si chiedono paratesti e ricontestualizzazioni storiche, ed è interessantissimo che queste rivendicazioni, peraltro legittime, vengano spesso da persone che hanno magari poca dimestichezza con la storia del fascismo, dell’antifascismo e dell’emigrazione italiana in Canada. Queste cose dal mio punto di vista sono piuttosto spiazzanti. Ci sono iniziative che possono avere tutta la rispettabilità possibile, ma solo se sono fondate negli studi storici o nella filologia, purché si studino insomma i documenti. È fondamentale non dimenticarsi che quando si fanno delle affermazioni, queste devono essere in qualche maniera motivate, e le motivazioni si trovano nelle carte. Che vanno preservate».

Chi volesse avere maggiori informazioni sul progetto, fornire eventuali segnalazioni o semplicemente scartabellare virtualmente la collezione, può seguire il link https://vitacollections.ca/yul-italiancanadiannewspapers/search o contattare direttamente Matteo Brera all’indirizzo e-mail mbrera@yorku.ca

 

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