Cultura

Scoperta lettera inedita
di Italo Svevo in difesa
della “Coscienza di Zeno”

LECCE – «Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie».

È la memorabile conclusione della “Coscienza di Zeno” di Italo Svevo (1923), una vera e propria pietra miliare del romanzo italiano (per non dire mondiale).

Ma chissà, se l’autore triestino fosse stato più malleabile, oggi forse leggeremmo qualcosa di completamente diverso.

Infatti il revisore incaricato di rivedere la “Coscienza” in vista della pubblicazione, Attilio Frescura, aveva grosse perplessità sul romanzo, specialmente sulla parte conclusiva.

Adesso per la prima volta possiamo leggere la risposta di Svevo, in cui il romanziere si rifiuta recisamente di apportare qualsiasi modifica sostanziale.

Questo importante documento si può ora leggere nel Corriere della Sera, in attesa di un’edizione critica e commentata di questa e altre due lettere mai pubblicate prima che apparirà entro la fine dell’anno sul “Giornale storico della letteratura italiana”.

Il ritrovamento dei tre inediti si deve a Beatrice Stasi, professoressa di Letteratura Italiana all’Università del Salento, che ha studiato a lungo e approfonditamente l’autore triestino (curando, tra l’altro, l’Edizione Nazionale proprio della “Coscienza di Zeno”).

Abbiamo incontrato (virtualmente) la professoressa Stasi per farci raccontare qualcosa di più su questa affascinante scoperta.

Per cominciare, considerando la tua lunga familiarità con questo autore, mi azzarderei a chiederti chi è per te Italo Svevo.
«Innanzitutto è un compagno di vita simpaticissimo. Per chi fa questo mestiere, gli autori con i quali lavoriamo sono le persone con le quali passiamo più tempo (e in questo periodo di pandemia ancora più del solito): il loro buon carattere è fondamentale per il nostro equilibrio. Svevo, tranne per alcuni casi in cui, come scrive, la vita ha riso più forte di lui, ha un umorismo autentico. Forse proprio perché non si definisce un letterato, come ripete anche in una delle lettere a Frescura, il suo uso della letteratura come terapia del vivere si comunica a chi ci vive insieme. Un importante maestro degli studi sveviani, Matteo Palumbo dell’Università di Napoli, disse in occasione di un seminario a Trieste che per lui “La Coscienza di Zeno” era come il manuale delle Giovani Marmotte: io condivido la stessa sensazione di fondo. Svevo è uno di quegli scrittori che riescono a rendere evidente e operativo, anche a noi studiosi che tendiamo a tecnicizzare il rapporto con loro, il fine ultimo della loro letteratura e della letteratura in genere».

Veniamo alla scoperta di questa lettera inedita di Svevo ad Attilio Frescura. Innanzitutto, ci racconti come è saltata fuori?
«In questo periodo sto facendo delle ricerche per preparare l’Edizione Nazionale dei racconti sveviani. Stavo cercando notizie su Bino Binazzi, un giornalista con il quale sapevo che Svevo aveva avuto degli scambi epistolari. Infatti ho trovato delle lettere parzialmente inedite consultando il catalogo del fondo Bino Binazzi, presso la Fondazione Primo Conti, a Fiesole. Tra le altre, c’era anche la descrizione di questa lettera, anche se come destinatario era indicato Bino Binazzi e non Attilio Frescura. Ovviamente, per via della pandemia, tutta questa ricerca è stata fatta online. È stata fondamentale la collaborazione della responsabile dell’archivio, Maria Chiara Berni, alla quale va tutta la mia gratitudine».

In effetti quando sentiamo parlare di ritrovamenti di questo tipo tendiamo ancora un po’ a immaginarci scene da Nome della Rosa, con carte dimenticate su scaffali polverosi, ma al giorno d’oggi (specialmente poi con le restrizioni in atto un po’ ovunque) si possono fare scoperte importanti semplicemente sfruttando i mezzi informatici.
«Sì, ormai si trovano molti fondi in rete, e vale sempre la pena di guardarli. In questo caso io avevo semplicemente inserito qualche parola chiave: Svevo, Binazzi… Si lavora davvero bene online – non su tutto, ma su molto sì. Per esempio è raro che riproducano un intero documento, ma se si sa cosa cercare, già dagli estremi si capisce subito di cosa si tratta e si può chiedere agli archivisti di visionare il documento».

Parliamo un po’ dei protagonisti di questa lettera. Cominciamo dal destinatario: chi era questo Attilio Frescura?
«Uno scrittore e giornalista. Cappelli, l’editore della “Coscienza di Zeno”, pensa che Svevo non scriva bene in italiano, e incarica lui di rivedere il romanzo. Svevo si procura i libri di Frescura e gli esprime la sua ammirazione. Secondo me Frescura non prende troppo sul serio i complimenti che gli fa Svevo, e glielo fa capire in modo piuttosto arrogante. Questa nuova lettera ci permette ora di rivedere il rapporto tra i due: prima sembrava che ci fosse una sudditanza psicologica da parte di Svevo, che qui invece mette un po’ i puntini sulle i, rifiuta di fare le modifiche che Frescura gli suggerisce, e lo ridimensiona anche come interlocutore».

Questa lettera quindi ci mostra un Italo Svevo inaspettatamente combattivo?
«Sicuramente aiuta anche la critica a ‘disincrostare’ Svevo da un suo complesso di inferiorità dal punto di vista linguistico, che si ritiene si riverberasse anche sulla consapevolezza di se stesso come scrittore. Per chi come lui parlava dialetto a casa ed aveva studiato in Germania, l’italiano era sostanzialmente una lingua costruita a tavolino. Scherzando, ma non troppo, diceva: “non vedo l’ora di essere tradotto, così almeno in francese sarò scritto meglio che in italiano”. Ma quando ho studiato come ha supervisionato la traduzione francese della “Coscienza di Zeno”, grazie a documenti inediti che ho ritrovato a Parigi, in casa del suo traduttore francese, Paul-Henri Michel, ho visto che non solo quando gli tagliano pagine intere la prende malissimo, ma anche che interveniva puntualmente su alcune scelte traduttorie, quasi con un’ossessione di controllo, come se fosse consapevole di avere sempre detto quello che voleva dire; d’altra parte la sua è una lingua straordinariamente efficace, anche nella sua scorrettezza grammaticale (e infatti i grandi linguisti che si sono occupati di Svevo non l’hanno mai maltrattato). Anche in questa lettera, sulla sintassi narrativa non ammette che gli si dica niente: Frescura gli fa fare qualche aggiustamento linguistico, ma anche lì penso si tratti di poca cosa. Svevo non ha autorizzato altri interventi. Ha una sicurezza di sé, perché il romanzo è costruito in un certo modo, è consapevole di non averlo fatto a caso».

Possiamo quindi dire che Svevo, nonostante la sua aria remissiva, era in realtà perfettamente conscio del suo valore come narratore?
«Sì, soprattutto per quanto riguarda la “Coscienza”. Anche i due romanzi precedenti [“Una vita” e “Senilità”] sono straordinari, ma lui è perfettamente consapevole che “La coscienza di Zeno” è incomparabile. Per questo poi arriva a mandarlo a James Joyce, perché gli sembra impossibile che questo romanzo meraviglioso non sia capito da nessuno: ci investe di più anche in questo senso, mentre al giudizio su “Senilità” si era rassegnato, se non prendendolo per buono, certamente accettando di dedicarsi ad altro. In questo ultimo romanzo lui crede molto, e lo dice anche in questa lettera, in maniera molto esplicita: con la “Coscienza”, Svevo è sicuro di aver scritto un capolavoro».

Nella foto, lo scrittore e drammaturgo Italo Svevo

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