Cultura

Non sarà una petizione online
a scongiurare lo schwa

TORONTO – La settimana scorsa segnalavamo una lezione virtuale della sociolinguista Vera Gheno sul tema del linguaggio inclusivo. Per coincidenza, in questi giorni si torna a discutere di uno dei cavalli di battaglia della studiosa: la proposta di introdurre nell’italiano un nuovo suono, lo “schwa” (e), che nell’alfabeto fonetico internazionale indica una vocale “media”, indistinta.

Lo schwa andrebbe usato per declinare le parole non al maschile né al femminile, per esempio quando non si vuole definire il genere di una persona (il riferimento è soprattutto a chi non si riconosce nel binarismo uomo/donna) o quando ci si rivolge a gruppi misti di maschi e femmine (attualmente la grammatica fa sempre prevalere il maschile, il che, secondo alcuni “pro-schwa”, è sessista): in questi casi potrei dire che ho “une care amice” o salutare “tutte quante”. Frasi di questo tipo risultano a molti un po’ stranianti, e non sono mancate critiche, polemiche e prese in giro per i sostenitori (anzi: e sostenitore) della “e rovesciata”: ma per fermare l’avanzata dello schwa (che comunque al momento non sembra aver preso granché piede) qualcuno ora ha pensato di passare dalle parole ai fatti. Se per “fatti” si intende una semplice petizione sul sito Change.org, una piattaforma di raccolte firme online.

La petizione si intitola “Lo schwa (e)? No, grazie. Pro lingua nostra” ed è stata lanciata il 5 febbraio da Massimo Arcangeli, professore di Linguistica all’università di Cagliari, e firmata da altri linguisti eccellenti, tra cui Luca Serianni e addirittura il presidente dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini; troviamo poi altri nomi famosi come quello dello storico e divulgatore Alessandro Barbero, Massimo Cacciari, Ascanio Celestini, Michele Mirabella, e la lista continua; i firmatari sono in totale, al momento in cui scrivo, circa 6000.

Il casus belli è il verbale di una Commissione per l’abilitazione scientifica nazionale che adotta maldestramente lo schwa, riportando ad esempio la dicitura “professore universitario” (sbagliando: a questo punto bisognerebbe scrivere “universitarie”). Il Professor Arcangeli non sembra averla presa benissimo, a giudicare dal tono catastrofistico della petizione: il testo si apre constatando che “Siamo di fronte a una pericolosa deriva”, e nello stesso paragrafo, tanto per mettere le cose in chiaro, si parla di “follia”. I fautori dello schwa sarebbero non solo “incompetenti in materia linguistica”, ma addirittura “una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un’intera comunità di parlanti e di scriventi”; il loro piano diabolico è “azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell’inclusività”. Siccome il suono “schwa” è assente in italiano, ma diffuso nei dialetti centro-meridionali, il professore conclude la sua petizione tratteggiando uno scenario apocalittico in cui l’intera Italia si trasformerebbe (orrore!) “in una terra di mezzo compresa pressappoco fra l’Abruzzo, il Lazio meridionale e il calabrese dell’area di Cosenza”.

C’è davvero da ammirare la fiducia che i firmatari ripongono nel potere della lingua, se pensano che una singola letterina possa causare tanto sconquasso. In questo scenario da mille e non più mille, l’unica preoccupazione oggettivamente fondata messa in campo da Arcangeli è il “rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche”: effettivamente l’introduzione di un nuovo carattere creerebbe dei problemi a chi ha esigenze particolari – ma anche qui è opinabile quanto “seri”.

La petizione, con i suoi enfatici anatemi, presta il fianco a facili ironie; ma quel che è peggio, sembra dimenticare che due anni fa l’idea dello schwa era ignorata da tutti, prima che un noto giornalista la attaccasse in un articolo dal pittoresco titolo “Allarmi siam fasciste”. Si può dire che quell’articolo contro lo schwa abbia segnato l’inizio della sua fortuna. Allo stesso modo, questa petizione rischia di rivelarsi uno spettacolare boomerang, perché non fa che dare ulteriore visibilità alla questione. Anche perché non si vede quale altro risultato sarebbe possibile: Change.org riporta che “se si arriva a 7500 firme questa petizione ha più probabilità di suscitare una reazione del decision maker”, ma chi sarebbe in questo caso “il decision maker” della lingua italiana? A chi si rivolge una petizione simile? È proprio qui il nocciolo della questione: non esiste un’autorità suprema in materia di lingua, l’ultima parola ce l’hanno – appunto – i parlanti, cioè noi tutti.

Il paradosso è che l’obiezione che viene più spesso rivolta ai sostenitori dello schwa è quella di essere, come dice Arcangeli, “una minoranza che pretende di imporre la sua legge a un’intera comunità di parlanti e di scriventi”: in altre parole, non si può condizionare l’evoluzione naturale di una lingua. O forse sì: basta una petizione su Change.org

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