Canada

“Informazioni dirette dalla polizia,
lotta interna per controllare
le donazioni ricevute”

TORONTO – Informazioni d’intellingence passate sottobanco dalla polizia ai manifestanti, lotte intestine per il controllo delle donazioni, ripicche, accuse e veleni. Si tinge di giallo lo spaccato di realtà che è emerso ieri durante la deposizione chiave di Keith Wilson, avvocato del Freedom Convoy, nell’ambito della commissione d’inchiesta sulla legislazione d’emergenza. Una testimonianza, quello del legale di Edmonton, che fa luce su alcune zone d’ombra dell’intera vicenda e che ci permette di comprendere meglio come si sia sviluppata la manifestazione che per molte settimane ha tenuto sotto scacco non solo la Capitale canadese, ma l’intera classe politica federale fino alla decisione del governo di applicare l’Emergencies Act.

Testimoniando sotto giuramento, Wilson ieri ha affermato che i leader della protesta ricevevano informazioni riservate che filtravano direttamente dalla polizia, specialmente nei primi giorni dell’occupazione del centro storico di Ottawa. “Non sono a conoscenza della fonte diretta che passava queste informazioni, ma è evidente che arrivavano dalle forze dell’ordine”. Una versione dei fatti, quella raccontata dall’avvocato, che combacia con la tesi secondo la quale tra i ranghi della polizia di Ottawa ci fossero dei simpatizzanti della protesta, tanto è vero che la stessa polizia avviò un’indagine su un numero imprecisato di agenti per presunti legami con gli organizzatori del Freedom Convoy. Fino a questo momento, solamente un agente è stato sospeso dal servizio per aver donato denaro al manifestanti. Ma dubbi sulle possibili collusioni tra forze di sicurezza e protesta riguardavano anche gli altri corpi di polizia.

L’Rcmp, ad esempio, temeva che alcuni Mounties potessero essere solidali con le proteste contro le restrizioni pandemiche. “Esiste il potenziale per gravi minacce interne”, si legge in un memo del 10 febbraio del team di intelligence criminale dell’Rcmp. “Coloro che non hanno perso il lavoro ma sono solidali con il movimento e i loro ex colleghi potrebbero essere in grado di condividere informazioni di carattere riservato con gli organizzatori della protesta”.

L’Rcmp in seguito ha dichiarato di non aver identificato alcuna “minaccia attiva all’interno dell’Rcmp che avrebbe potuto avere un impatto negativo sulla capacità dell’organizzazione di eseguire i suoi obblighi in relazione al Freedom Convoy”.

Sempre secondo Wilson, il movimento di protesta era diviso da gelosie interne e differenze di vedute su come portare avanti la manifestazione.

Ma non solo. La spaccatura tra i vari gruppuscoli dei manifestanti – estremisti di destra, suprematisti bianchi, frange no vax – era motivata anche da elementi molto più concreti rispetto alla pura ideologia: i soldi. Durante la lunga marcia del Freedom Convoy, infatti, prima dell’arrivo dei camion nella Capitale, il movimento aveva raccolto ingenti donazioni grazie alla raccolta fondi sul portale GoFundMe, più o meno 10 milioni di dollari (anche se la cifra esatta è ancora oggetto di dibattito).

Chi doveva controllare il denaro e decidere come spenderlo? Denaro, è bene sottolinearlo, arrivato per la maggior parte dagli Stati Uniti, dalla provenienza molto dubbia. Dopo che GoFundMe si rifiutò di fornire le donazioni, il Freedom Convoy si rivolse a un altro sito web per raccogliere fondi: una volta subito un ulteriore diniego, gli organizzatori passarono direttamente all’accettazione di criptovalute, difficilmente tracciabili da parte delle forze di polizia.

Dove sono finiti questi soldi? Lo stesso Wilson durante la sua deposizione ha alzato le mani, ribadendo di non sapere con certezza assoluta come sia stato utilizzato o chi se lo sia intascato.

“Gli organizzatori del convoglio – ha aggiunto l’avvocato – hanno anche preso donazioni attraverso le criptovalute. La maggior parte delle donazioni di criptovaluta sono state controllate dall’organizzatore BJ Dichter, ma non so dove siano ora quei soldi”.

Dichter in un secondo momento è stato rimosso dal consiglio di amministrazione del Freedom Convoy dopo le proteste a Ottawa.

Le parole di Wilson confermano quelle di un altro protagonista di questa vicenda. Christopher Barber, uno degli organizzatori della protesta, ha testimoniato martedì che c’era stata una vera “lotta di potere” tra varie fazioni all’interno del convoglio anche prima che arrivasse a Ottawa a partire dal 28 gennaio.

Ha anche puntato il dito contro la controversa figura Pat King, così come un altro gruppo chiamato “Canada Unity” e il loro famigerato “memorandum d’intesa” che ha chiesto di rovesciare il governo federale.

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