Canada

Covid, mancano i dati
per valutare i rischi

TORONTO – Gli esperti sanitari non hanno dubbi. I governi provinciali stanno chiedendo ai canadesi di valutare da soli il rischio che corrono nel contrarre il Covid ma al tempo stesso stanno riducendo la quantità di dati disponibili. “Non c’è dubbio che alle persone vengano forniti meno dati – ha affermato Tara Moriarty, docente dell’Università di Toronto – è un compito decisamente cruciale in quanto le persone sono state rese responsabili della gestione personale della pandemia”.

Ontario, Quebec, Newfoundland and Labrador sono le uniche province che riportano dati quotidiani sul Covid-19, ha affermato Moriarty, aggiungendo che il Canada esegue meno test Covid-19 pro capite rispetto ad altri paesi ricchi. Secondo Our World In Data, un sito web di dati globale affiliato all’Università di Oxford la settimana scorsa, ogni giorno in Canada, sono stati condotti una media di 1,46 test Covid-19 ogni 1.000 persone. In Austria, invece, sono stati condotti 40,5 test ogni 1.000 persone. In Grecia, Italia, Regno Unito, Francia e Corea del Sud, sono stati fatti pro capite il triplo dei test giornalieri rispetto al Canada. Il sito web conta sia i risultati dei test PCR che quelli dei test antigenici resi pubblici.

Sebbene i test sulle acque reflue siano diventati un modo per tracciare l’evoluzione della pandemia, ha affermato Moriarty, vengono eseguiti solo nelle grandi città di alcune province. E questa non è solo una questione di dati, ha rincarato la dose, ma anche di comunicazione. I leader del governo devono fare un lavoro migliore nell’illustrare la situazione attuale e nell’indicare chi potrebbe essere più a rischio. “È necessario fornire informazioni alle persone in modo che possano effettuare migliori valutazioni del rischio e in modo che possano di conseguenza modificare il loro comportamento – ha affermato – se si trattengono tali informazioni o, per omissione, non le si fornisce, si sta limitando la capacità delle persone di agire in base a tali comunicazioni”.

E dello stesso avviso è Jean-Paul Soucy, uno studente di dottorato presso l’Università di Toronto che studia l’epidemiologia delle malattie infettive, il quale ha affermato che alcune province, come la Nova Scotia, hanno smesso di riportare dati specifici per regione, il che rende difficile per i residenti gestire il proprio rischio.

Rischi che si sono moltiplicati da quando quasi tutte le restrizioni – mascherine in primis – sono state abolite dai governi.

Proprio per questo, ora che la provincia si trova nel mezzo di un’ondata di infezioni da Covid-19, il Toronto Board of Health ha chiesto al governo Ford di conferire al Chief medical officer Eileen de Villa più potere per reimporre l’obbligo di indossare le mascherine in alcuni contesti, scuole incluse. Autorità, questa, che de Villa, aveva all’inizio della pandemia ma che è decaduta il mese scorso quando sono state apportate modifiche al ’Reopening Ontario Act’.

Ieri, pur lasciando aperta la porta ad un possibile rinvio per l’eliminazione delle mascherine nelle case di cura e di riposo, nei centri di accoglienza, nelle carceri e in altre strutture – la data è quella del 27 aprile – il Chief Medical Officer of Health dell’Ontario Kieran Moore ha detto che ne consiglia l’uso ma ha bocciato la possibilità di imporle nuovamente.

Dal canto suo, il direttore del Tavolo Tecnico Scientifico della provincia Peter Juni, ha dichiarato che continua a consigliare l’uso delle mascherine. “Penso che il problema stia nel fatto che non c’è una comunicazione chiara – afferma Juni – sì, il mandato della mascherina è stato revocato, ma no, non si può tornare alla normalità. Continuiamo a suggerire vivamente di indossare le mascherine”.

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