Canada

Cina all’attacco,
il Canada impotente

TORONTO – Doveva arrivare ieri il verdetto per Michael Spavor arrestato in Cina, come Michael Kovrig, nel dicembre del 2018. I due cittadini canadesi sono stati fermati, secondo le autorità cinesi, per aver messo in pericolo la sicurezza nazionale, un’accusa generica dietro a cui molti – o meglio quasi tutti – hanno visto una ritorsione di Pechino per l’arresto da parte del Canada di Meng Wanzhou, principessa ereditaria dell’impero tecnologico Huawei. Un fermo, questo, avvenuto per volere degli Stati Uniti, dove è ricercata con l’accusa di aver tentato di eludere le sanzioni statunitensi contro l’Iran.

Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata, ma i due cittadini canadesi continuano a rimanere nelle celle delle prigioni cinesi nonostante appelli sporadici vengano fatti per la loro liberazione. La detenzione dei due Michael è stata definita dal primo ministro del Canada Justin Trudeau“completamente inaccettabile”, “deludente” e liberarli sarebbe “una priorità”. Tante belle parole. Così come belle parole sono state quelle proferite, nel recentissimo colloquio telefonico del 1º agosto, da Trudeau e dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. “I leader hanno chiesto il rilascio immediato di Michael Kovrig e Michael Spavor” ma una domanda sorge spontanea: in una conversazione tra di loro a chi avrebbero chiesto il rilascio immediato?

Nel giugno del 2020 Trudeau ha opposto un fermo rifiuto alle pressioni esercitate sul governo per uno scambio di prigionieri – Meng da un lato, Kovrig e Spavor dall’altro – dicendo che accettare avrebbe potuto mettere altri canadesi a rischio di arresti arbitrari.

E neppure Biden – che avrebbe potuto risolvere la situazione che era originata sotto la presidenza del suo precedessore Donald Trump – ha preso il toro per le corna facendo rilasciare la Whanzhou. Bastava solo questo per poter far respirare nuovamente la libertà a Kovrig, ex diplomatico che lavorava per una Ong che si chiama International Crisis Group e Spavor, titolare invece di una serie di attività imprenditoriali in Corea del Nord: entrambi sono accusati di spionaggio.

E quindi processi lampo e spesso segreti, vendette, ricatti, arresti incrociati, sentenze emesse in tempi a dir poco sospetti e accuse di “diplomazia degli ostaggi”. Non è un caso che “Lady Huawei”, dai suoi domiciliari dorati in Canada stia provando in questi giorni in tutti i modi assieme ai suoi avvocati ad evitare l’estradizione negli Stati Uniti. Il tempismo, a questo punto, non sorprende affatto. E che di rappresaglia si tratti, è anche un fatto scontato.

Il braccio di ferro, quindi, continua. Nel mezzo ci sono vite umane, ma poco importa. Per non dire di un altro canadese, Robert Schellenberg, al quale proprio ieri è stata confermata dal tribunale di Liaoning la condanna a morte. Nel gennaio del 2019 Schellenberg, era stato condannato a 15 anni di reclusione per traffico di droga, ma improvvisamente si è visto commutare la sentenza in pena capitale

Che dall’arresto di Meng, Canada e Cina stiano vivendo una profonda e complessa crisi diplomatica non è un segreto. Il primo ministro Trudeau non sembra però aver saputo affrontare la situazione e viene accusato di “debolezza”.

Intanto la triste realtà è che un canadese è stato condannato a morte per traffico di droga. Altri due canadesi – un ex diplomatico e un imprenditore – sono sospettati di spionaggio. Una ereditiera cinese sta lottando contro l’estradizione da Vancouver negli Stati Uniti. Mentre chi dovrebbe far sentire la propria voce e mettere la parola fine a queste vicende tace.

More Articles by the Same Author: