TORONTO – Si è chiusa male l’avventura di Cristiano Ronaldo alla Juve. Dopo tre stagioni, condite da 101 reti segnate in 134 partite, il fuoriclasse portoghese e la Vecchia Signora si separano, con CR7 che ritorna al Manchester United strappando un contratto biennale da 31 milioni di euro a stagione – la stessa cifra che guadagnava a Torino – e con la società bianconera che risparmia una sessantina di milioni lordi di ingaggio e che incassa 28 milioni che le permettono di evitare una minusvalenza nel bilancio. Rimane un po’ di amaro in bocca per come è arrivato il divorzio.
La tempistica, in primo luogo. È evidente che Ronaldo non abbia deciso negli ultimi giorni di andarsene, ma che – al contrario – abbia programmato la sua partenza alla fine dello scorso campionato. La dirigenza juventina – orfana di Marotta e Paratici, i due artefici dei nove scudetti consecutivi – non è stata in grado di gestire l’addio del campione portoghese con lungimiranza: tutto il mercato bianconero ruotava attorno all’eventuale permanenza o addio di CR7 e per questo motivo sarebbe stato il caso di indicare a Ronaldo una data ben precisa – inizio agosto – per trovarsi un’altra squadra. Cherubini e Arrivabene hanno invece deciso di alimentare l’illusione della permanenza del portoghese, salvo poi ritrovarsi a quattro giorni dalla fine del calciomercato senza un vero sostituto. L’arrivo del 21enne Kean – figliol prodigo che torna a Torino, dove è cresciuto calcisticamente – non può certamente compensare il vuoto lasciato da Ronaldo.
Detto, questo, bisogna avere anche il coraggio di fare un paio di considerazioni scomode.
La prima è che alla Juve il Cristiano Ronaldo “marziano” ammirato per tanti anni al Real Madrid non lo abbiamo mai visto: il fuoriclasse portoghese è arrivato alla Juve nella fase calante della sua carriera e l’ultima stagione, dove peraltro ha vinto il titolo di cannoniere, ha visto una lunga serie di prestazioni imbarazzanti di CR7.
La seconda è che Ronaldo non è mai entrato veramente nei cuori dei tifosi juventini: non è mai stato e non sarà mai un Del Piero, un Platini, un Sivori, uno Scirea, un Buffon. In tre anni di permanenza alla Juve non ha imparato una mezza parola d’italiano, non si è mai completamente integrato, è stato più impegnato a promuovere i suoi interessi da multinazionale del calcio che a dare il suo contributo alla causa.
Ora, la Juve di oggi ha ben altri problemi da affrontare. La squadra molle, indolente, indisposta vista contro l’Empoli è un campanello d’allarme da non sottovalutare. D’altro canto stiamo parlando degli stessi giocatori che lo scorso anno sono arrivati al quarto posto con Pirlo, con in più un Locatelli che è un buon centrocampista e niente più.
Come ha splendidamente scritto ieri sulla Gazzetta Sebastiano Vernazza in merito ai bianconeri, “c’è stata la fuga del solista, ma in questo caso manca anche tutto il coro”. I problemi della Juve non sono riconducibili all’addio di CR7, ma a una rosa costruita male, a un ricambio generazionale che non c’è stato e a una dirigenza che negli anni ha pensato di poter arrivare sul tetto d’Europa a suon di plusvalenze e parametri zero.
Allegri sicuramente è il tecnico più adatto a risollevare i bianconeri da questa situazione. Dybala e Chiesa dovranno fare il definitivo salto di qualità e prendersi maggiori responsabilità sulle spalle, quanto meno per tornare ad essere competitivi in Italia. In Europa no, quello è un altro discorso. Con Ronaldo la Juve è stata eliminata dalla Champions contro squadre nettamente inferiori – Ajax, Lione e Porto – negli ultimi tre anni. Senza CR7 cercare di fare meglio sembra pura utopia.
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