TORONTO – Questo non è il suo primo tentativo di essere eletto. Ma la prima volta è stato “un turno di preparazione”, dice. Date le complessità associate al sistema elettorale italiano, in particolare per quanto riguarda l’essere eletti come rappresentanti della diaspora italiana al Parlamento del Belpaese, molti fattori casuali devono essere messi in conto per garantire l’elezione, non ultima la posizione ottenuta dopo il voto dal partito per i cui colori si concorre per l’elezione italiana.
Vincenzo Arcobelli *nella foto sopra, tratta dal suo profilo Twitter @VinceArcobelli), siciliano di nascita, istruzione e formazione professionale – almeno nella prima parte della sua vita – cerca l’elezione come esponente del gruppo di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, nella coalizione di Centrodestra, attualmente la formazione politica favorita alle elezioni del prossimo 25 settembre in Italia.
C’è un solo posto in Senato riservato agli italiani che vivono nel collegio elettorale nordamericano che comprende Canada, Stati Uniti, Messico, Isole dei Caraibi e gran parte dell’America centrale. Il Corriere Canadese ha incontrato il candidato Arcobelli ad un evento a Woodbridge. Non è né timido né presuntuoso, ma trasuda fiducia in sé stesso.
Benvenuto in Canada. Lei è molto lontano da casa…
“Questa è la casa che ho scelto di rappresentare, la vostra e la mia. È un territorio vasto. Gli italiani come quelli presenti qui a Toronto (Canada) oggi, negli Stati Uniti, in Messico e altrove sono stati determinanti nella costruzione e nel portare questi Paesi nel 21° secolo. Con tutto il rispetto, noi italiani che viviamo nel mondo vogliamo persone che conoscano i sacrifici che hanno fatto (qualcuno direbbe, continuano a fare), la disponibilità a viaggiare per loro conto è un piccolo prezzo da pagare per il privilegio di servirli. Ogni italocanadese che ha lasciato l’Italia negli ultimi centoventi anni proverebbe lo stesso sentimento”.
Non per essere provocatorio, ma gli italiani iscritti all’AIRE, quelli idonei a votare, non votano semplicemente seguendo le indicazioni di partito, rendendo così superflua quella qualificazione?
“Anche se fosse vero, e non lo è, mi considererei un candidato meno degno se non andassi dove sono i miei elettori. La mia leader Giorgia Meloni pensa tanto agli italiani in Nord America, a tal punto da accettare un invito a parlare ai nostri concittadini e agli altri. Non posso essere da meno”.
Giusto. Prima di andare oltre, cosa la rende, su base personale, qualificato come un altro per cercare questo incarico? Meglio ancora chi è Vincenzo Arcobelli?
“Penso che un titolare di una carica debba presentare un background di servizio pubblico (volontariato), una storia di imprese professionali e imprenditoriali e una volontà di imparare, sia che si tratti di apprendimento accademico o basato sulle competenze. Senza apparire immodesto, il mio curriculum vitae le rivela tutte e tre. In breve, ho conseguito diplomi e lauree in aeronautica e li ho applicati nella mia carriera professionale con l’industria militare e connessa sia in Italia che negli Stati Uniti. In secondo luogo, ho trovato il tempo per essere impegnato, sia in prima linea che al centro e come parte di una squadra, nei COMITES negli Stati Uniti e in attività sociali e comunitarie progettate per promuovere la presenza e il contributo della comunità italiana. Infine, le mie attività commerciali transoceaniche mi hanno reso più acutamente consapevole delle sfide per mantenere la continuità produttiva tra noi e la nostra madrepatria”.
Quali sono i tre obiettivi che ha in mente per il suo mandato, se dovesse vincere?
“Cittadinanza e passaporti di accompagnamento. Chi di noi è emigrato, per qualsiasi motivo, non ha mai voluto abbandonare il nostro diritto di primogenitura, la nostra cittadinanza italiana. I Paesi in cui abitiamo oggi ci vedono ancora come italiani. Solo la logica burocratica ci ha privato del nostro diritto di primogenitura. In un’epoca in cui il passaporto italiano dà diritto quasi automatico al passaporto europeo e alla mobilità per viaggi di lavoro e personali, questo è inaccettabile. Con Giorgia Meloni, che ne è consapevole, dovremmo essere in grado di rilanciare l’iniziativa. Io credo in questo e mi considero parte della sua squadra”.
E il secondo obiettivo?
“È parte integrante del primo: il mantenimento della nostra lingua all’estero. È il mezzo di comunicazione indipendentemente dalla piattaforma utilizzata che più definisce chi siamo, la cultura di cui nutriamo i valori che ci stanno a cuore. È ciò che ci tiene vicini alle nostre radici e facilita la nostra connessione gli uni con gli altri, direttamente e intergenerazionalmente. È indispensabile per la diffusione della nostra strategia “Made in Italy” dal punto di vista commerciale e culturale. Se perdiamo la nostra lingua, diventiamo qualcos’altro. Le agenzie culturali italiane (come l’Editoria) devono avere gli strumenti per perseguire questi obiettivi in modo più aggressivo”.
Noi del Corriere potremmo essere accusati di essere di parte, per essere d’accordo con questo concetto. Qual è il terzo obiettivo?
“Consentitemi innanzitutto di concludere la questione della lingua. Se vogliamo che le nostre politiche linguistiche abbiano successo, dobbiamo essere più coinvolti nell’educazione dei nostri figli e nipoti con le autorità scolastiche all’estero. Ciò richiede risorse e voci aggressive per liberarli. Quanto al terzo obiettivo, anch’esso è di servizio e richiede risorse aggiuntive per soddisfare le esigenze dei consolati locali per fornire i servizi richiesti dagli italiani all’estero in modo tempestivo ed efficiente. Riconosco che alcuni Consoli generali stanno già facendo quello che possono in questo senso. Lavorerò per garantire che i fondi necessari affluiscano per soddisfare il bisogno”.