Un progetto turistico-religioso per il restauro del santuario
TORONTO – Ahh… Verità e Riconciliazione… l’eterna espiazione per le nostre mancanze terrene. Senza voler sminuire la politica contemporanea, ci sono eventi importanti che celebrano la complessa mescolanza di popoli, razze e culture. Non sempre questa mescolanza si ottiene senza spargimento di sangue.
Provengo da una terra grande circa il trenta percento dell’Ontario. Nel corso di tremila anni, “ospiti non invitati” (Celti, Slavi, Goti, Ostrogoti, Visigoti, Unni, Greci, Fenici, Arabi, Angioini, Burgundi, Galli, Franchi… la lista è interminabile) hanno fatto dell’Italia la loro casa, proprio come gli “italiani” sentivano la loro missione divina di visitare ogni luogo e di assorbire la cultura locale – “paese che vai, usanza che trovi“. Di conseguenza, tutti ne sono stati arricchiti.
Ritroviamo questa mescolanza e questi scambi di culture persino nelle vaste foreste dell’Ontario a metà del Seicento. Per lo più, gli avventurieri erano spinti dal fanatismo religioso o da un desiderio avido di capitalizzare su ciò che le First Nations rivendicavano come proprio, anche in assenza di un’egemonia tra loro, di un’autorità riconosciuta che organizzasse la resistenza o negoziasse accordi. I “coloni provenienti dall’Europa” si ritrovarono in un “brutale fuoco incrociato” che non credeva nel concetto di fare prigionieri.
Uno di questi luoghi era l’odierna Huronia, nell’Ontario centrale, a poche ore di macchina a nord di Toronto. Si trattava di un ambizioso progetto dei gesuiti per unire due culture, i loro valori e le loro competenze. Per un po’ sembrò funzionare.
Attirò uomini di orientamento accademico dotati di una curiosità insaziabile (i gesuiti erano proprio questo) affascinati dai popoli che prosperavano in un ambiente che il filosofo Voltaire definì notoriamente “quelques arpants de neige“.
Sfortunatamente, quei gesuiti furono coinvolti nelle guerre tra due federazioni di alleanze aborigene in competizione: Uroni e Irochesi. Il progetto, Ste. Marie tra gli Uroni, fu vittima di un bagno di sangue sterminatorio. Un gesuita, Padre Francois Bressani, sopravvisse a stento, grazie al gruppo di incursori irochesi che tese un’imboscata a lui ed al suo piccolo gruppo, lo torturò e lo vendette come schiavo agli Olandesi, che lo rispedirono in Francia.
La loro è una storia affascinante. Possiamo raccontarla, in parte, grazie al desiderio dei sacerdoti di cinque parrocchie della GTA, che hanno avviato un’iniziativa multigruppo per ripristinare le infrastrutture e la storia di quegli aborigeni e gesuiti che credevano nel concetto di buona volontà.
Il banchetto di giovedì scorso è stato solo un esempio di iniziativa per mantenere vivo lo slancio di un gruppo eterogeneo che unisce le First Nations ed i cattolici delle comunità italiana, filippina, polacca, tamil e vietnamita.
Il Corriere è orgoglioso di sostenerli.
Traduzione in Italiano – dall’originale in Inglese – a cura di Marzio Pelù
Qui sotto, una fotogallery dell’evento (gli scatti sono di Ava Baccari)