Toronto

Covid, in Canada cresce l’allarme ma
per ora nessuna nuova restrizione

 

TORONTO – Cresce la preoccupazione in Canada e nel resto del mondo per questo ultimo colpo di coda della pandemia di Covid-19. Il drammatico aumento dei casi registrato in Cina nelle ultime settimane unito al rischio legato a eventuali nuovi ceppi di coronavirus più virulenti e maggiormente trasmissibili ha spinto i governi di alcuni Paesi a riattivare delle restrizioni che fino a pochi mesi fa pensavamo di esserci lasciati alle spalle. Ieri in Italia il ministro della Saluto Orazio Schillaci ha deciso di attivare il tampone obbligatorio per tutti i viaggiatori provenienti dalla Cina, dopo che era emerso che solamente all’aeroporto di Malpensa la metà dei passeggeri che arrivavano da quel Paese risultavano positivi. In, Canada, almeno per ora, le autorità stanno monitorando la situazione, mentre negli Stati Uniti l’amministrazione Biden sta valutando se seguire la stessa strada intrapresa dal governo italiano.

In ogni caso, è del tutto evidente che ci troviamo in una nuova fase di questa pandemia, la cui fine è stata annunciata da più parti forse in modo troppo prematuro. La realtà, quella fatta di dati, statistiche e numeri, è molto lontana dalla percezione generale che abbiamo della vera diffusione del Covid, anche qui in Canada.

Stando al bollettino del ministero federale della Sanità, nelle ultime due settimane nel nostro Paese il Covid ha ucciso 507 persone, di queste 169 in Ontario e 124 in Quebec, che continuano anche adesso a contendersi il triste primato tra le province del maggior numero di decessi collegati al coronavirus.

Dall’inizio della pandemia, in Canada hanno contratto il Covid poco meno di 4,5 milioni di persone, mentre il bilancio delle vittime è salito a quota 48.948. I dati dell’ultima settimana, invece, parlano di oltre 17mila casi e 227 decessi provocati dal Covid-19.

Non sono certo numeri paragonabili a quelli della fase più acuta della pandemia, ma in ogni caso questi dati confermano come lo stato di emergenza non sia ancora finito. Ora resta da capire quelli che potranno essere gli sviluppi in Cina e, di riflesso, nel resto del mondo, proprio come accade tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020.

I virologi continuano a ripetere che il vero rischio è rappresentato da future varianti del ceppo originario.

Stando a quanto è stato confermato nei giorni scorsi, del solo Omicron sono state individuate ben 504 sottovarianti. Di queste almeno quattro sono considerate d’interesse da parte delle autorità sanitarie, perché presentano almeno una delle caratteristiche considerate di pericolo da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità: maggiore trasmissibilità, maggior tasso di mortalità e capacità di bypassare le difese immunitarie stimolate dall’avvenuta infezione precedente o dai vaccini.

La Cina in questi tre anni ha applicato una strategia differente rispetto al resto del mondo: restrizioni draconiane non solo nella prima fase della pandemia, ma anche in quelle successive.

Percentualmente la popolazione cinese resta più suscettibile all’infezione, perché da un lato è in proporzione meno vaccinata rispetto alle altre e dall’altro perché i continui lockdown hanno impedito l’esposizione e l’infezione di un numero elevato di cittadini. In sostanza, la popolazione cinese affronta questa fase della pandemia senza sufficienti difese immunitarie.

Come confermano i virologi, ogni infezione aumenta la probabilità di cambiamento del coronavirus, ogni contagio è un passo in avanti verso una potenziale nuova variante più pericolosa e letale.

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