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Giù le mani dal nostro calcio

TORONTO – Il calcio non è solo denaro, diritti televisivi, ingaggi, incassi.

Il calcio è anche la Steaua Bucarest, squadra rumena che nella finale di Coppa Campioni del 1986 batte il grande Barcellona.

Il calcio è anche il Porto che l’anno successivo nella finalissima stende il Bayern Monaco, o la Stella Rossa che nel 1991 sale sul tetto d’Europa, o l’Olimpique Marsiglia che nella finale del 1993 fa piangere lacrime amare al Milan stellare degli olandesi, o il Dortmund che nel 1997 batte in finale la mia Juve campione d’Europa in carica.

La lista delle grande imprese di squadre medio- piccole contro le regine del calcio europeo è lunghissima e non si ferma solo alle vittorie finali. Pensiamo a quello che ha fatto l’Atalanta in Champions negli ultimi due anni.

E nei singoli campionati, cosa dire delle imprese del Leicester di Ranieri o del Verona di Bagnoli?

Dodici club ribelli, i più ricchi e prestigiosi del Vecchio Continente – ma anche i più indebitati – hanno deciso di rompere il giocattolo. E lo hanno fatto appena si sono assicurati la copertura di uno degli istituti finanziari più potenti del mondo, la Jp Morgan: sul piatto ci sono 3,5 miliardi di dollari, solo una piccola fetta della torta complessiva finale, alla quale bisognerà aggiungere diritti televisivi miliardari e fondi praticamente infiniti dai nuovi sponsor.

Tifosi – anche quelli delle squadre ribelli – allenatori, calciatori hanno condannato in massa lo strappo. Ed è facile capire il perché.

Il calcio è bello perché permette di non avere limiti: anche le squadre più piccole possono sognare di fare l’impresa. Vuoi fare parte dell’elite? Bene, ma te lo devi conquistare sul campo, non può essere un diritto acquisito per pochi eletti: quello lasciamolo all’NBA, all’NHL e alle leghe americane, che appunto non sono nemmeno più sport, ma puro entertaiment, intrattenimento, dove la componente agonistica passa in secondo piano.

La speranza è che i club ribelli ci ripensino. E nelle ultime ore sembra che il progetto si stia sfasciando.

Come scriveva Stefano Benni, questa è la classica battaglia di idee, dove alla fine non ci saranno né vincitori, né vinti, né idee.

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