Immigrazione

Quel suono siciliano
nelle case canadesi

Proseguiamo la pubblicazione degli articoli dedicati all’immigrazione italiana in Canada, che prendono spunto dalla storia degli oggetti che gli emigrati hanno portato con sé nel viaggio dal Belpaese alla nuova terra. L’iniziativa rientra nel progetto “Narrarsi altrove, viaggio tra i cimeli e i luoghi dell’anima” della poetessa Anna Ciardullo Villapiana e della docente Stella Paola, con la collaborazione di Gabriel Niccoli, professore emerito dell’Università di Waterloo e membro del consiglio di amministrazione dell’Italian-Canadian Archives Project (ICAP), network nazionale sotto i cui auspici opera il suddetto studio poetico.

WATERLOO – Il marranzano, antico strumento musicale siciliano, apparteneva a Salvatore Mancuso, partito da Delia, in provincia di Caltanissetta, subito dopo aver terminato il servizio militare, per approdare a Toronto, all’età di ventuno anni.

Salvatore volle abbandonare la campagna siciliana, nella quale lavoravano i suoi genitori, per tentare la fortuna oltreoceano. Quando partì era fidanzato, il suo obiettivo era quello di guadagnare abbastanza soldi da poter tornare indietro, sposare la sua ragazza e portarla con sé.

Sfortunatamente le cose non andarono come previsto, e nonostante i suoi sforzi a lavorare da muratore, panettiere, a lavare i piatti nei ristoranti, non riuscì a mettere da parte i soldi per il viaggio di ritorno. Salvatore, con grande rammarico, dovette porre fine alla sua relazione amorosa e proseguire il suo cammino in terra straniera da solo.

Negli anni successivi riuscì ad avere un lavoro più stabile in una fabbrica di materassi, la Simmons.  Finalmente aveva abbastanza denaro per poter tornare nella sua amata patria ma non poté farlo, assentarsi per più di una settimana avrebbe significato perdere il lavoro.

Nel frattempo decise di sposarsi per procura con un’altra ragazza italiana, Grazia, che, dopo lo strano matrimonio, raggiunse Salvatore in Canada. Entrambi lavorarono nella stessa fabbrica per oltre trent’anni. I due non ebbero figli, ma sua nipote Abelina andava spesso a far loro visita, chiamava suo zio “Pipino”, un vezzeggiativo che nel loro dialetto significava padrino, visto che c’era tra le loro famiglie un legame sacro dovuto al battesimo.

Abelina (nella foto sopra) ha tanti bei ricordi di suo zio, giocavano spesso a carte, parlavano molto. Salvatore voleva trasmettere a sua nipote i valori della sua terra d’origine e quando morì, nel 2010, sua zia Grazia diede proprio ad Abelina quello che era stato, per tutta la vita, l’oggetto più caro a suo marito, il marranzano.

Salvatore, infatti, soleva fare di questo strumento una musica di folclore, fermava il suono, di tanto in tanto, per alternare alla musica il racconto di storie d’amore e di corte, recitate in dialetto siciliano, narrate su personaggi fittizi o stereotipi della sua terra.

Un suono, quello del marranzano, che, come ha osservato il professore Niccoli, rimanda l’immaginario al dramma pastorale barocco di alcuni poeti minori francesi. Un suono che induce al trance col suo ritmo sempre uguale. Un mantra le cui vibrazioni, secondo le leggende popolari, richiamavano le anime dei defunti o di amori passati. Ma è altresì un suono che evoca la natura incontaminata delle campagne siciliane, in cui si muovono i ricordi di Salvatore che, come quelli del suo omonimo poeta Quasimodo, acquistano più fascino in quanto i luoghi vengono contemplati da lontano, dall’altrove.

Rimane il suono del marranzano, dunque, a completare, nella nostra mente, le immagini di una natura idealizzata in cui i personaggi si muovono lentamente e si avvertono lontani, eppure vicinissimi, nel volo ermetico dei nostri pensieri migranti: “Il marranzano tristemente vibra nella gola del carraio che risale il colle nitido di luna, lento tra il murmure d’ulivi saraceni”, (Agrigentum, 1938).

Alla morte di Salvatore il marranzano ha smesso di suonare. Quel ritmo uguale, come goccia, ha smesso di battere sulle sue labbra.

Rimangono le  immagini di una storia antica e di grigie nostalgie, suoni che facevano vibrare le stanze di case canadesi al ricordo dei rintocchi delle campane del sud.

Abelina conserva il marranzano a Waterloo, nella sua stanza da letto, sul comodino, tra le cose più care, non solo perché è diventato il simbolo della sua italianità, ma anche e soprattutto perché le ricorda il rapporto privilegiato che la lega a suo zio da sempre.

Anna Ciardullo Villapiana

Ed ecco la poesia di Anna Ciardullo Villapiana, ispirata dalla storia di Salvatore Mancuso.

Il suono del passato si posa
sulle tue labbra.
Il ritmo diventa goccia nelle tue mani
un suono antico
che riporta
i pastori nel campo.
Un mantra
che affida l’anima al sussurro del vento
e riempie i fantasmi di vita e d’amore.
Quel suono è muto
per l’assenza di te
non scaccia i pensieri
non  porta con sé il dolore
riempie le stanze
di quello che eri,
mi adorna di fili le stanze del cuore.
Intanto inserto ghirlande di oggi
con tralci di allora
sulle ginocchia riporto i rami
gonfi dei frutti del tuo amore.

Anna, Stella e Gabriel: tre prof alla ricerca delle radici italiane

TORONTO – Le professoresse Anna Ciardullo Villapiana e Stella Gualtieri Paola stanno lavorando con entusiasmo e passione al progetto fra storia, cultura e poesia che si propone di raccontare, in modo nuovo, le tante vicende che hanno avuto come protagonisti, spesso silenziosi e sconosciuti, i tantissimi connazionali arrivati in Canada dal Belpaese.

Vicende che le due insegnanti conoscono bene, essendo entrambe di origine italiana e residenti in Canada.

Stella, la cui famiglia proviene da Figline Vegliaturo, in provincia di Cosenza, Calabria, è nata in Sault Ste. Marie, Ontario, e vive con suo marito a Waterloo. Insegna alla Resurrection Catholic Secondary School e per lei l’insegnamento è molto più che lavoro. È una vocazione profonda. Si impegna tantissimo ad aiutare gli studenti a scoprire se stessi attraverso qualsiasi curriculum – religione o lingue. Nella scoperta della sua Italianità, Stella si è dedicata allo studio della diaspora proprio come la sua collega e poetessa Anna Ciardullo Villapiana.

Anna, nata a Cosenza dove ha vissuto per circa trent’anni, nel 2003 si è trasferita in Canada dove, sposata, con due figli, ha iniziato la carriera di insegnante di Italiano e di interprete e dove ha potuto coltivare una passione che la accompagna fin dall’adolescenza: quella per la poesia. Qui, infatti, Villapiana ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Percorsi Interiori” nel 2007, seguita nel 2015 da “Frammenti di Luce” e nel 2018 da “Al di là del mare, Dialoghi DiVersi”. Stimata socia dell’AICW (Association of Italian Canadian Writers) ha partecipato a molte iniziative e svariate conferenze per la conservazione della lingua e tradizione italiane nella realtà canadese notoriamente multiculturale. È inoltre co-chair della Waterloo Chapter Committee dell’Italian Canadian Archives Project (ICAP), una rete di beneficenza fondata per connettere e coinvolgere comunità, gruppi locali, individui, esperti e istituzioni pertinenti-come archive e musei- in tutto il Canada al fine di preservare e rendere accessibile il patrimonio italocanadese.

E proprio questo suo percorso nell’Italianità l’ha portata a elaborare, insieme a Stella, con la collaborazione del professor Gabriel Niccoli dell’Università di Waterloo e membro del consiglio di amministrazione dell’ICAP, il progetto in questione che, come si era detto in precedenza, trova adesso spazio nelle pagine del Corriere Canadese: ogni settimana, dunque, il nostro giornale racconta storie di immigrazione dall’Italia, partendo da un oggetto caro a chi è partito, per scelta o necessità, spesso lasciando “pezzi” di cuore nel Belpaese ma a volte portandosene qualcuno con sé.

Da queste storie, Villapiana si è lasciata ispirare per comporre poesie, sia in Italiano che in Inglese, intense ed emozionanti, che pubblicheremo insieme ai racconti degli emigrati.

Qui sotto, il trailer del progetto, realizzato con poesie di Anna Ciardullo Villapiana, letture di Gianluca Lalli e Stella Paola e musiche di Francesco DeGregori, Gianluca Lalli e Juneyt.

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