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Bombe sulle città:
il Cremlino adotta
la strategia del terrore

TORONTO – In tutte le guerre del secolo scorso ci sono state delle immagini destinate a rimanere impresse nella memoria collettiva. Foto che scuotono l’opinione pubblica, scatti capaci di catturare il momento dello svolta, o la sofferenza di un popolo, o l’assurdità della guerra. I cecchini di Sarajevo, le vittime delle bombe al fosforo in Iraq, la foto della piccola Kim Puch che scappa nuda e piangendo nel Vietnam del 1972: istantanee che non hanno bisogno di didascalie o spiegazioni, approfondimenti o analisi. Sono immagini che già da sole raccontano una storia, offrono uno spaccato della guerra che una descrizione scritta non potrà spiegare adeguatamente.

Le foto satellitari pubblicate in questi giorni di un convoglio militare russo lungo oltre 60 chilometri e diretto verso Kiev sono la rappresentazione plastica di quanto sta avvenendo sul territorio ucraino: la sproporzione delle forze in campo, la forza numerica dell’apparato militare russo e la reale volontà del Cremlino, che porta avanti un negoziato di facciata e che, allo stesso tempo, prosegue con i suoi veri obiettivi militari.

Carri armati, veicoli corazzati, mezzi militari per il trasporto delle truppe, pezzi di artiglieria pesante, camion con lanciamissili formano questo infinito convoglio, che passa attraverso il territorio ucraino lungo una strada attorno alla quale i caccia da combattimento di Mosca hanno fatto terra bruciata.

Insomma, a quanto pare il peggio deve ancora arrivare per la popolazione di Kiev, che già ieri ha dovuto subire pesanti bombardamenti attorno alla torre della tv di Stato con numerose vittime civili. Durante l’attacco russo alla sede delle Tv ucraina è stato danneggiato anche un monumento nel memoriale della Shoah di Babyn Yar. Il bombardamento avrebbe provocato 5 morti.

Ma in generale, stando alle notizie che arrivano dal fronte, il Cremlino sembra aver cambiato la propria strategia. Messe da parte le aspirazioni di una guerra lampo che avrebbe portato allo conquista di Kiev in un paio di giorni e alla caduta del presidente Volodymyr Zelensky – e questa anche per via dell’inaspettata efficacia e tenacia della resistenza delle forze ucraine – Mosca ha mutato il suo approccio, prendendo di mira le città. Oltre a Kiev ieri i bombardamenti più violenti si sono avuti a Kharkiv, dove è stato colpito il Palazzo del governo regionale e dove, per l’ennesima volta, si sono registrate numerose vittime tra i civili nelle aree residenziali della città.

Sullo sfondo di un’orizzonte che appare sempre più tetro, resta la speranza appesa a un filo del negoziato, ammesso che da parte di Vladimir Putin vi sia la reale volontà ad arrivare alla tregua. È previsto per oggi il nuovo round di negoziati dopo quello di lunedì che non ha portato a risultati concreti. Nel frattempo il ministro della Difesa russo Sergej Sojgu ha annunciato che le operazioni militari andranno avanti fino a quando l’Ucraina sarà “demilitarizzata e denazificata”.

Si prosegue quindi con la retorica putiniana di Kiev in un mano a un drappello di nazionalisti filo-nazisti con le truppe russe in azione per liberare il Paese. Peccato che a cozzare contro questa narrazione ci sia un fatto incontrovertibile: il presidente ucraino Zelensky è ebreo, i suoi nonni furono internati nei campi di concentramento dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Molto difficile che sia un nazista.

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