TORONTO – Una lunga crisi d’identità, durata ormai sette anni. Caratterizzata da divisioni interne, fratture, polemiche, accuse e veleni, combattuta su uno scenario desolante, quello delle macerie lasciate in eredità da Stephen Harper. La destra canadese in questo primo squarcio del 2022 sta finalmente iniziando a fare i conti con il suo recente passato, con gli errori strategici e di fondo che hanno spalancato le porte ai tre governi guidati da Justin Trudeau e che hanno favorito la vittoria alle urne del Partito Liberale. E i segnali di questo ritorno alle origini, di questa voglia di voltare pagina e aprire una nuova fase politica continuano a moltiplicarsi: una corsa alla leadership vera, con tre candidati di peso che si stanno affrontando senza esclusione di colpi, la vittoria di Brian Jean in Alberta, i rapporti di forza in Ontario in vista del voto che danno il Progressive Conservative in netto vantaggio su Ndp e grit.
Ma per poter meglio inquadrare quanto sta succedendo occorre fare un passo indietro. Nel 2015 termina l’era Harper, dopo tre legislature alla guida del partito e del Paese. Finisce l’epoca di un leader carismatico, accentratore, intollerante verso il dissenso interno. Il partito, nella delicata fase della ricostruzione dopo il trionfo di Trudeau alle urne, vira verso la moderazione, il politicamente corretto e punta sull’ex Speaker della House of Commons Andrew Scheer. La svolta non porta ai risultati sperati: nel voto del 2019, pur registrando una crescita nel voto popolare e nel numero dei seggi conquistati alla Camera, il Partito Conservatore perde.
E la sconfitta brucia e provoca un nuovo terremoto politico nella sua classe dirigente, con Scheer che fa un passo indietro e con il partito che deve fare ancora una volta i conti con la sua crisi d’identità. Nella corsa alla leadership la scelta ricade su un esponente della destra moderata, Erin O’Toole, con le tante aperture sui temi etici e sulle politiche di base che provocano non solo nuove divisioni all’interno del partito, ma anche una vera e propria scissione che porta alla nascita del People’s Party di Maxime Bernier.
La nuova sconfitta alle urne, quella dello scorso autunno, è dietro l’angolo, con un contributo decisivo dei voti persi a favore della formazione politica dell’ex ministro degli Esteri. L’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia di Covid-19 non fa altro che alimentare le tensioni e le divisioni interne, con una parte minoritaria del partito che si schiera apertamente contro i lockdown e che inizia pericolosamente a flirtare con la variegata galassia no-vax, cospirazionista e covid-scettica del Canada. La sconfitta elettorale e la situazione di sbando portano al voto di sfiducia del caucus conservatore verso O’Toole, che è costretto a gettare la spugna.
Ora, la destra canadese ha finalmente la possibilità di voltare pagina. Nella corsa alla leadership, oltre alle candidature di contorno come quelle di Roman Baber e Leslyn Lewis, troviamo delle personalità forti, che hanno intenzione di plasmare il partito e dargli un’identità ben definita: Pierre Poilievre, Patrick Brown e Jean Charest. Già dai primissimi giorni dall’inizio della corsa alla leadership stiamo assistendo a un scontro accesissimo, con un clima politico rovente: messi da parte il buonismo, il politicamente corretto, il tatto e le buone maniere politiche, i contendenti se la stanno letteralmente “dando di santa ragione”.
La destra canadese sta recuperando la sua anima, primo passo per tornare ad avere un appeal politico su una buona fetta del suo elettorato che negli ultimi appuntamenti alle urne o aveva scelto l’astensione o era stata ammaliata dalla proposta politica di Bernier. A prescindere da chi diventerà il nuovo leader della destra a settembre, il Partito Conservatore tornerà ad avere un’identità ben definita, precisa, distinta, ponendosi come alternativa credibile al Partito Liberale di Justin Trudeau.
Tenendo conto di tutto questo, anche la vittoria di Brian Jean alle suppletive in Alberta rappresenta un segnale significativo che va in questo senso. Jean rappresenta l’elemento di rottura, la prima scossa di un potenziale terremoto politico che potrebbe travolgere non solo la guida dello United Conservative Party e il suo leader Jason Kenney, ma anche la direzione che la provincia vorrà prendere nei prossimi anni e, più in generale, gli equilibri politici nelle province dell’Ovest del Canada. Fatti i conti con la sua crisi d’identità durata sette anni, la destra canadese si promette di ritornare ad essere competitiva.
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