Cultura

“Il più bel secolo della mia vita”, un adottato

La legge italiana, secondo la quale un trovatello non può conoscere le proprie origini prima di compiere 100 anni, privilegia sopra ogni altra cosa il diritto alla privacy della madre. Inizialmente la legislazione era intesa a frenare l’abbandono dei neonati e le pratiche di aborto illegale, e quindi è stata giustificata in nome del benessere dei bambini.

Questa legge e un libro scritto da Nancy Newton Verrier nel 2007, intitolato “La Ferita Primaria”, sono stati l’ispirazione per l’opera teatrale di Alessandro Bardani del 2015 e l’eventuale adattamento cinematografico intitolato “Il più bel secolo della mia vita”. È una storia che, come dice Bardani, “ha tante sfaccettature e analizza molto”. Tranne che in questo caso la storia delle origini viene conservata in un archivio segreto, per legge, per 100 anni.

Nel film, Sergio Castellitto interpreta Gustavo, un trovatello centenario che ha finalmente potuto dare una sbirciatina al suo dossier segreto. Quando un giovane Giovanni – interpretato da Valerio Lundini – arriva a salutare Gustavo dell’Associazione Bambini Adottati, tra la strana coppia si forma subito un legame divertente ma toccante. Mentre trasporta Gustavo alla Fondazione, un commosso Giovanni deve sopravvivere agli insulti di Gustavo, alle squallide storie personali e ai discutibili consigli di vita. A 100 anni Gustavo sembra aver lasciato andare tutte le sue inibizioni.

L’umorismo intrinseco e riconoscibile della storia rende questa coinvolgente, poiché i due si affrontano continuamente come vecchi amici. Bardani e Castellitto pensavano addirittura che se i personaggi del titolo fossero stati paragonati a calciatori famosi, sarebbero la famigerata coppia del Calcio Cassano-Totti. Ma una descrizione migliore arriva direttamente da Castellitto: “Gustavo è un giovane vecchio e Giovanni è un vecchio giovanotto”. E sulla personalità di Gustavo aggiunge: “Questa è la consapevolezza finale, paradossalmente. Perché a 100 anni finalmente puoi dire tutto quello che pensi”.

Fondamentalmente, “Il più bel secolo della mia vita” esplora l’importanza di conoscere la propria origine, le nostre relazioni biologiche e l’albero ancestrale. Gustavo e Giovanni sono in disaccordo sul loro dilemma dell’adottato, ed è una testimonianza della narrazione di Bardani il fatto che allo spettatore vengano fornite argomentazioni sostanziali da entrambe le parti. La caparbietà di Giovanni e la spensieratezza di Gustavo sono archetipi un po’ invertiti, forse intesi a dimostrare l’evoluzione di una mentalità limitante. Forse, attraverso Gustavo, Bardani offre all’adottato una speranza, l’aspirazione a formare una famiglia dove la trovi e con chi è disposto ad accettarne il titolo. Giovanni, apprendiamo, aveva genitori adottivi amorevoli verso i quali nutre “un’irragionevole” delusione.

E quando Gustavo lo scopre, la sua reazione racchiude perfettamente il messaggio del film: che una madre non è semplicemente una persona, ma una persona con delle responsabilità.

Dove vedere “Il più bel secolo della mia vita”: Prime Video

Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix

 

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