Il Commento

USA, l’anarchia indebolisce il bene comune democratico

TORONTO – Forse le cose si calmeranno; ora che l’inaugurazione del Presidente eletto degli Stati Uniti è a soli nove giorni di distanza. Forse.

Nel frattempo, “l’attaccamento” al candidato presidenziale, sia Trump o Biden, si sta ancora giocando in violenti scontri fatali.

Il sistema reggerà? La questione più ampia per le società occidentali – in particolare i Paesi europei e nordamericani – è la psicologia alla base dell’interrogarsi e persino del rifiutare l’affidabilità di una “elezione libera ed equa”. Questo concetto è un principio fondamentale dei princìpi democratici, politici e di governance che accettiamo invece di “rivolgerci alle armi” per difendere ciò che pensiamo sia nostro ed esclusivamente nostro.

Forse i “modelli” che abbiamo sviluppato per prendere queste decisioni democratiche – per qualsiasi motivo – non sono più degni della nostra lealtà, mentre scivoliamo inesorabilmente verso l’individualismo sfrenato e l’anarchia. Forse è giunto il momento di ridefinire ciò che intendiamo con questi modelli.

La democrazia, “governo dal popolo”, non ha mai significato semplicemente che “la maggioranza detta le regole”. Certo, non è così in Canada, né negli Stati Uniti.

“La rappresentanza a seconda della popolazione” (più persone, maggiore è la voce) può funzionare in alcuni casi, ma la nostra vita politica non dipende dalla stretta adesione a quel modello.

Negli Stati Uniti, ogni Stato è rappresentato al Senato con due senatori, indipendentemente dalla sua geografia, dalla sua economia e dalla sua popolazione. Entrambi i Paesi hanno respinto il concetto di un puro sistema “one man, one vote” (un cittadino, un voto) per tutto. Ad esempio, 130.000 abitanti della provincia più piccola del Canada, Prince Edward Island, hanno la garanzia costituzionale di quattro deputati e un numero uguale di senatori. Vaughan-Woodbridge in Ontario, con una popolazione simile, può avere un deputato e forse nessun senatore.

Al Québec, con i suoi 7,5 milioni abitanti, è garantito il 24% di tutti i parlamentari della Camera dei Comuni, mentre l’Ontario con il doppio della popolazione (14,5 milioni, e in crescita) dovrà accettare circa il 38%.

Le grandi potenze come New York e la California non hanno più influenza dell’Alaska al Senato. Sarebbe giusto concludere che gli Alaskani o gli Hawaiani non sarebbero in grado di cedere tale influenza, non importa quanto siano distanti dal “centro del potere”.

Alle elezioni del 2016, Clinton ha battuto Trump di 65.853.514 voti a 62.984.828 voti (una dižerenza del 4,55%) comunque perdendo perché i voti del Collegio Elettorale favorivano Trump.

Questa volta, i voti del Collegio Elettorale, nonostante le contestazioni presentate alla Corte, hanno premiato i Democratici con un ampio margine; in questa occasione riflettendo l’esito del voto popolare. I Democratici hanno ricevuto 81.283.098 voti favorevoli, mentre i Repubblicani di Trump ne hanno ricevuti “appena” 74.222.958. Se state facendo dei veloci calcoli, rimarrete impressionati dal fatto che Trump ha migliorato il suo risultato elettorale di un notevole 17,8% – nonostante il martellamento quotidiano – strameritato agli occhi di alcuni/molti – a cui i media del mainstream lo hanno sottoposto. Tuttavia, questa osservazione trascura il fatto che i Democratici hanno migliorato il loro risultato del 23,4%. Solo ulteriori prove di imbrogli e corruzione nel sistema, dicono i Repubblicani. Forse.

L’altro elemento fondamentale dell’elezione democratica è “la pazienza di sedersi e aspettare”. Forse quello che abbiamo visto in questa settimana è la sostituzione della pazienza nel sistema democratico americano con la rabbia.

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