Da un po’ di giorni stavo pensando di parlare delle tante leggende e simboli indimenticabili della pedata italica, a prescindere dalla fede calcistica, quelli che hanno segnato un’epoca con il loro stile e le loro gesta, dentro e fuori il rettangolo di gioco. Poi ieri, parlandone con un caro amico, Italo Lo Presti, in questo caso del gruppo ‘’Controsport di NS’’ oltre che della ‘’Stanza’’ con l’amico Filippo Didiano, l’idea ha preso magicamente forma.
Uno dei grandissimi che sposa in pieno l’unicità e le caratteristiche di cui voglio parlare è, senza dubbio, Giorgio Chinaglia, indimenticato e indimenticabile alfiere e campione della Lazio, nonché poi dei Cosmos di New York. Spiegare ai più questo fenomeno non è possibile, se non tenendo in grande considerazione l’importanza del racconto che di Chinaglia, detto Long John, hanno fatto i suoi tifosi, travalicando qualche volta anche l’effettivo valore tecnico ma aggiungendone di altri quasi a volerne aumentare il mito.
Di Giorgio Chinaglia è stato detto tutto: giocatore tecnico e molto potente, caratterialmente forte al limite della prepotenza, stoffa del leader sia in campo che fuori. Solo uno così avrebbe potuto portare la Lazio dalla serie B a vincere il suo primo storico scudetto, nel 1974, contro gli squadroni del nord. Certo, in quella squadra non c’era solo il formidabile ‘’Giorgione’’: c’erano Pulici, Pino Wilson, il compianto Re Cecconi, Frustalupi, Garlaschelli, D’Amico, l’allenatore Maestrelli, tanto per fare qualche nome, tutti protagonisti assoluti.
Perché allora quello sarà sempre ricordato come “lo scudetto di Chinaglia”? Cosa ha rappresentato il nostro Giorgione per tutti quelli che, dopo di lui, hanno seguito la Lazio?
Ed ecco allora che prende forza il racconto, con le storie di campo, gli aneddoti che diventano leggende metropolitane, le immagini e le foto. Soprattutto le foto.
C’è ad esempio la foto più iconica, quella più simbolica, con Long John urlante che punta il dito contro i nemici inferociti, con sul volto la maschera dell’urlo vittorioso di chi ce l’ha fatta per l’ennesima volta (è la foto in alto). Giorgione è la lazialità, una lazialità che basta a sé stessa, che non ha bisogno di essere definita da chi non la capisce, anzi, più di tutto, la contesta. Il più amato di sempre per i suoi, il più odiato di sempre per gli avversari.
Nell’album dei ricordi laziali ci sono foto di abbracci clamorosamente disperati, esodi oceanici e imprese quasi titaniche, anche quelle relegate nelle ultime righe delle cronache sportive. Ci sono foto di successi a colori, maglie scintillanti come le coppe internazionali e ancora uno scudetto, che stavolta non è “quello di Chinaglia”: nel secondo scudetto Long John non c’è, ma nessuno, nemmeno quelli nati dopo il 1974, quel 14 maggio del 2000, con il sole cocente di Roma sulla pelle e la pioggia di Perugia nelle cuffiette della radio, ha potuto evitare di pensare a lui, almeno per un momento.
A distanza di più di quarant’anni dall’ultima partita di Chinaglia con la maglia biancoceleste c’è ancora la Lazio e non c’è più Giorgione ma il suo mito non è stato mai offuscato: non ci sono riusciti i successi, i tanti campioni dell’era successiva e nemmeno le tristi vicende giudiziarie che il bomber del ’74 dovette affrontare. Troppo forte quell’amore, troppo forti le gioie regalate da quell’uomo ad un intero popolo, in campo e fuori. L’omone col dito puntato e il sorriso beffardo di sfida ormai non può più essere dimenticato, nemmeno poi quando se ne andò per segnare caterve di gol a fianco di Pelè e Beckembauer, nei Cosmos di New York, negli Stati Uniti.
Oggi che Chinaglia non c’è più, di lui resta il magnifico ricordo di uno scudetto memorabile e resta, nella mente di tutti, il racconto dei suoi tifosi e quel famoso gesto di dissenso verso Ferruccio Valcareggi dopo la sostituzione in Italia-Haiti ai Mondiali del 1974.
Alex Ziccarelli
QUI SOTTO, DUE VIDEO DEDICATI A GIORGIO CHINAGLIA
Materiale fotografico da https://footballnews24.it/