Il Commento

È ora di fare i conti con i nostri interessi

TORONTO – È finalmente arrivato il giorno delle elezioni, il giorno in cui un Paese – lo Stato nazionale con il maggior potenziale di bene e di male, nel mondo – sceglie il proprio “amministratore delegato”. Con tutto il rispetto per il mio Paese di nascita o per quello in cui ho cresciuto la famiglia (rispettivamente Italia e Canada), stiamo parlando degli USA.

Mio padre, un veterano della Seconda Guerra Mondiale, mi ha indotto a seguire la politica americana – anzi mi ha obbligato – da quando il suo presidente preferito, John F. Kennedy (il primo cattolico ad occupare quella carica) si presentò per e vinse le elezioni nel 1960. Fino alla morte di papà, nel 1989, un ritratto di JFK era appeso alla parete del suo soggiorno. Mamma rispettò la sua volontà fino alla propria morte, diciannove anni dopo, dopodiché mia sorella lo rimosse vendendo la casa.

Anche se non ho mai compreso il fascino per le “cose americane”, riconosco che le persone possono avere una “inclinazione” che le predispone a pensare che le loro preferenze politiche dal Canada verso l’America “potrebbero” in qualche modo influenzare le loro decisioni in Canada.

Gli inglesi hanno un detto per questo: “Balderdash!” (“Stupidaggini!”) Forse la diaspora ebraica in Canada, se estesa, potrebbe essere influenzata dalla disposizione del Canada nei confronti di Israele, ma è improbabile che essa punisca o ricompensi il Canada a causa del trattamento riservato dall’America agli israeliani.

I canadesi ed i partiti politici che attendono l’esito delle elezioni negli Stati Uniti prima di prendere posizione qui su qualsiasi partito stanno offuscando i problemi ai sondaggisti, che tra l’altro sono solo troppo felici di speculare su chi o perché i canadesi preferirebbero come il Presidente negli Stati Uniti. La loro “analisi basata sui dati” avrà tanto a che fare con il risultato quanto le opinioni del mio venerabile padre sui presidenti negli anni ’60 avevano sulla sua necessità di andare a lavorare quotidianamente a Toronto per sostenere chi dipendeva da lui.

Per l’elettore tipico, ovunque, le politiche e le priorità del “portafogli” sono quasi sempre in cima a qualsiasi lista che determina la scelta. Tutto il resto rientra nella categoria dei voli esoterici della fantasia. Tanto per fare un esempio, il bilancio annuale della difesa per gli Stati Uniti è pari o superiore all’intero piano annuale di entrate e spese del Canada!

Tuttavia, il focus dell’attenzione dei nostri media mainstream è stato sul linguaggio degli insulti personali, sulle preferenze di genere/pronome, sui diritti riproduttivi [in un ambiente] di sostenibilità demografica al collasso. Anche noi confessiamo il mea culpa.

Forse, quando i nostri lettori leggeranno questo articolo, gli americani avranno scelto definitivamente chi sarà il loro “nuovo” CEO/Presidente. Ciò non avrà alcun impatto sulla competenza della Danielle Smith, Premier dell’Alberta, il cui indice di gradimento del 91,5% in una revisione della sua leadership rinvigorirà sicuramente il piano del suo governo per ottenere concessioni dal nostro governo federale.

L’amministratore delegato/primo ministro di quel governo, in quella che è diventata una vera politica in stile americano, è stato sottoposto all’osservazione e all’analisi più poco lusinghiera della sua competenza, per quanto riguarda le relazioni Canada-India e la sicurezza interna. L’autore di quell’analisi altri non è che un ex premier dell’NDP della British Columbia e in seguito ministro del gabinetto liberale federale, l’on. Ujjal Dosanjh (vedi l’articolo del National Post: https://nationalpost.com/news/politics/ujjal-dosanjh-justin-trudeau-sikh-extremism). I canadesi hanno un’espressione per questo: “OUCH!”.

Nelle foto in alto, da sinistra: Ujjal Dosanjh (da Twitter X – @ujjaldosanjh) e Danielle Smith (da Twitter X – @ABDanielleSmith)

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