Prosegue la pubblicazione, in dieci puntate sia in Italiano che in Inglese, della presentazione accademica che il nostro collaboratore periodico Goffredo Palmerini ha tenuto all’Aquila il 3 novembre scorso, in occasione dell’Assemblea CRAM (Consiglio Regionale degli Abruzzesi nel Mondo). La relazione si intitola “Cenni storici sull’emigrazione italiana” e ripercorre la storia della nostra Diaspora.
L’AQUILA – Mettere insieme 140 milioni di italiani che hanno le stesse radici culturali (60 dentro i confini, 80 all’estero – e secondo Piero Bassetti ci sarebbero da considerare, in aggiunta, anche altri 110 milioni di “italici”) è una sfida che l’Italia deve finalmente affrontare. Come pure politiche di promozione della lingua e della cultura italiana all’estero, cosa che l’Italia fa poco destinando risorse insufficienti a questo scopo.
Ciò nonostante l’italiano è oggi la quarta lingua più studiata al mondo.
Chi studia la lingua italiana, pur non essendo italiano, lo fa perché ama l’Italia, ama la cultura italiana, ama il gusto italiano, ama lo stile italiano, ama il modo di vivere degli italiani. L’attenzione verso la nostra cultura è straordinaria. Noi stessi italiani non abbiamo talvolta consapevolezza dell’enorme patrimonio intellettuale, culturale e artistico della nostra Italia, quasi due terzi di quello mondiale. Ci sfugge la dimensione di cosa siamo e cosa rappresentiamo per il mondo intero, in termini di patrimonio artistico e culturale.
Consideriamo ora, più nel dettaglio, le rotte migratorie che furono seguite nella prima emigrazione (1861-1940), e soprattutto dopo il 1945 con la seconda emigrazione. Come accennavo prima, le rotte della prima grande emigrazione si diressero verso gli Stati Uniti e i paesi del Sud America, anzitutto Brasile e Argentina, ma anche Uruguay e Cile.
Nel secondo dopoguerra, oltre alle appena citate prelazioni verso le Americhe, si aggiunsero destinazioni come il Canada e il Venezuela, ma anche la nuova rotta dell’Australia. C’è poi l’emigrazione massiva nella vecchia Europa, a cominciare dalla Francia, alla Svizzera, al Belgio – soprattutto nelle miniere di carbone grazie al trattato italo/belga -, quindi alla Germania in piena ricostruzione e in forte sviluppo industriale.
Ecco alcune cifre sull’emigrazione, solo per dare un’idea senza la pedanteria dei dati statistici che renderebbero pesante questa conversazione. Tuttavia alcuni essenziali numeri sono importanti per capire meglio l’argomento, cioè l’emigrazione italiana nell’arco di circa 150 anni. Si tenga allora conto che l’emigrazione più consistente, in termini assoluti – anche se certe volte questo non appare – è stata quella verso il Brasile, paese che ha il maggior numero di oriundi italiani in termini assoluti: circa 25 milioni.
L’altro Paese con una numerosa comunità italiana è l’Argentina. Notevole il numero di argentini con origini italiane. In termini percentuali (non assoluti, che resta il Brasile) l’Argentina è il Paese che ha la più alta percentuale di italiani, circa la metà degli abitanti dell’Argentina, dunque quasi 22 milioni. C’è una ragione per la scelta dell’Argentina in chi allora partiva con i bastimenti dall’Italia. Tenete conto delle conoscenze e del grado d’istruzione che a fine Ottocento e inizio Novecento aveva la popolazione italiana.
Si consideri che chi partiva nella prima emigrazione non aveva formazione scolastica né preparazione professionale, non conosceva la lingua, men che meno rudimenti di conoscenze scientifiche. Erano quasi tutti contadini, e una piccola parte di artigiani. Quindi il miraggio di chi lasciava un Paese dove non aveva proprietà terriera, se non in minima parte, era mezzadro o lavoratore a giornata per proprietari latifondisti, era quello di avere un grande pezzo di terra da coltivare per sé e per i figli numerosi.
Quindi il sogno era quello d’andare in queste nuove terre dell’America latina per avere a disposizione appezzamenti di terreno da poter considerare come proprio, se non addirittura averlo in proprietà. Ci sono state politiche, per esempio in Brasile, in base alle quali all’immigrato si dava in proprietà un grande appezzamento di terra in posti sperduti e quasi deserti. Là si costituivano comunità di agricoltori, interi villaggi, proprio grazie ai nostri emigrati.
Mi viene in mente il caso di Pedrinhas Paulista, in Brasile, dove proprio un gruppo di emigrati abruzzesi costituì, nel secondo dopoguerra, una colonia e una comunità molto coesa. In Argentina, particolarmente, qualcosa di simile succedeva nella sterminata estensione della Pampa. Quelle terre erano importanti per la prima emigrazione italiana, non solo per l’allevamento del bestiame, ma anche per la coltivazione intensiva di cereali e altre colture. Molta parte di italiani partì per l’Argentina negli anni antecedenti la prima guerra mondiale.
(sesto capitolo – continua…)
Nella foto in alto, uno storico incontro fra italiani in Italia ed italiani emigrati: da sinistra, alcuni dei deputati di Team Canada in visita all’Aquila il 22 maggio del 1998: Carmine Provenzano, Joe Volpe (all’epoca Sottosegretario alla Sanità), Aline Cretien, Gary Pillitteri, Karen Redmond, Maria Minna, il Primo Ministro Jean Cretien (all’epoca Primo Ministro del Canada) e Goffredo Palmerini (all’epoca Vicesindaco dell’Aquila); qui sotto, “Sul molo”, dal libro “La Merica. Emigrazione dei Monteleonesi verso gli Stati Uniti dal 1882 al 1924” di Antonio De Vitto