Cultura

Una lingua da insegnare
e imparare

TORONTO – Penso che i lettori del Corriere Canadese siano al corrente del fatto che l’Università di Toronto include, nella sua ampia offerta accademica, uno dei più grandi (e antichi) dipartimenti d’italiano del Nord America: un’istituzione le cui radici risalgono a metà Ottocento, quando Giacomo Forneri, carbonaro in esilio, divenne il primo professore di lingue moderne del più importante ateneo canadese. In seguito, da quei pionieristici inizi sarebbe nata una prestigiosa tradizione che annovera tra i suoi protagonisti Emilio Goggio, il quale, divenuto direttore del dipartimento nell’immediato secondo dopoguerra, diede un impulso straordinario agli studi di italianistica, con un’eredità intellettuale viva ancor oggi: il suo nome è infatti legato alla cattedra della direzione dipartimentale (chiamata appunto “Emilio Goggio Chair in Italian Studies”).

Gli Italian Studies e l’annesso apprendimento della lingua di Dante godono dunque a Toronto di buona salute, senza contare le attività legate all’Istituto Italiano di Cultura.

Tuttavia, già dagli inizi del Novecento l’insegnamento dell’italiano non era riservato solo agli ambienti accademici, ma anche alla gente comune, ossia agli italiani emigrati: bambini e adulti potevano affiancare alle loro competenze linguistiche regionali e dialettali (spesso native) l’apprendimento (o il miglioramento) della lingua nazionale.

Agli albori dello scorso secolo, infatti, dei corsi erano organizzati (e con una certa frequenza) grazie a personalità religiose della colonia, come, per esempio, i ministri metodisti Nestor Cacciapuoti e Michael Basso (1900-10) e il sacerdote redentorista Domenico Viglianti. Accanto all’attivismo religioso si distinse ben presto quello laico: la Società Dante Alighieri vide nascere una filiale a Toronto nel 1905 e, nel giro di alcuni anni, cominciò a dispensare lezioni di lingua ai compatrioti espatriati.

Un decisivo incentivo al diffondersi dell’idioma nazionale si ebbe con l’avvento del fascismo. Le gerarchie locali, infatti, tradussero il bisogno di un’italianità da difendere e preservare lontano dalla patria soprattutto nell’apprendimento della lingua: tra la fine degli anni Venti e lungo gli anni Trenta si moltiplicarono i corsi tanto nelle Case d’Italia istituite dal regime, quanto anche nelle parrocchie cattoliche. Il Concordato del 1929 avrebbe sancito ufficialmente il connubio tra autorità fasciste e organizzazioni cattoliche, dando luogo a un fiorire di scuole di lingua; una delle parrocchie più attive fu quella di Santa Agnese, gestita dai padri Salesiani e, in seguito, dai frati Francescani.

Negli anni Trenta l’insegnamento locale si arricchì addirittura di un manuale autoctono, Le lezioni pratiche d’italiano, pubblicato a Toronto nel 1938 da una delle più attive associazioni di immigrati, the Order of Sons of Italy. L’autore era Tommaso Mari, di origine marchigiana; arrivato in Canada nel 1928, fervente fascista, insegnante e giornalista, fu tra i fondatori del più antico e conosciuto giornale della prima immigrazione italiana in Ontario, il Bollettino italo-canadese (di cui ho parlato proprio dalle colonne del Corriere Canadese, un paio di settimane fa) e dello stesso Bollettino fu uno dei più attivi direttori. In capitoletti chiari e concisi, Mari insegna una lingua adatta ai vari contesti quotidiani, evitando difficili spiegazioni di natura fonetica e morfologica.

L’italiano delle lezioni presenta diversi tratti letterari, testimoni dell’ossequio verso le glorie letterarie nazionali (Dante e Manzoni in primis), ma anche ricco di forme vernacolari toscane (per esempio, le forme verbali fo’ e vo’; o parole come “babbo”, “materazzo”). Soprattutto, l’autore non lesina continui riferimenti al regime fascista, approfittando della didattica per far spazio alla propaganda politica e nazionalista. Basti un esempio: parlando dell’uso di pronomi, verbi e avverbi, l’autore non manca di citare un classico del regime: «[…] Giovinezza, Giovinezza, primavera di bellezza. Io canto […]» (p. 11; “canto” in grassetto nell’originale).

Passata la guerra e passato il regime mussoliniano, l’insegnamento diventa soprattutto appannaggio dell’università e di altre istituzioni, tra cui quelle già citate sopra, l’Istituto di Cultura e la Società Dante Alighieri.

Ancora una volta, come abbiamo visto nel caso dei giornali, è dunque innegabile che, anche grazie a scuole e corsi, la lingua nazionale circolasse all’interno della comunità fin dagli inizi della presenza italiana a Toronto (e continui a circolare); una diffusione che ci aiuta a rivedere lo stereotipo di immigrati puramente e unicamente dialettofoni.

Fondamentali per la stesura di questo articolo due interessantissimi testi: M. Brera, Schools of “Italianness”: Language Teaching and Fascist Propaganda in 1930s Toronto, in The Italian Language in The Global Space, numero monografico di “Italian Canadiana”, a cura di S. Casini, C. Sansalone, XXIII (2019), pp. 59-82, e J. Zucchi, Italians in Toronto. Development of a National Identity, 1875-1935, McGill-Queens University Press, Montreal-Kingston 1988.

Franco Pierno

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