NAPOLI – Sono iniziati lo scorso 4 marzo i lavori di restauro del celebre “Mosaico di Alessandro” custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Il mosaico, che molto probabilmente le lettrici e i lettori ricorderanno, cristallizza il momento della battaglia di Isso tra il giovane Alessandro, allora Re di Macedonia e raffigurato in sella al suo fido cavallo Bucefalo, contro le truppe di Dario III di Persia nel 333 a. C.
L’opera fu rinvenuta nel 1831 all’interno della Casa del Fauno di Pompei e venne trasportata nel 1844 a Napoli. Delle dimensioni di 5,82 x 3,13 metri, essa arricchiva la pavimentazione dell’antica domus pompeiana da cui venne riportata alla luce.
I restauratori ipotizzano che una delle cause della progressiva degradazione di alcune parti del mosaico possa proprio essere stata la collocazione sulla parete del Museo. Il passaggio dal piano orizzontale originario a quello verticale, infatti, avrebbe contribuito al distaccamento di alcune tessere nonché al rigonfiamento e alle lesioni di alcune parti della sua superficie.
Il restauro avrà la durata di sette mesi e si svolgerà seguendo complesse e delicate tecniche che mirano a limitare il più possibile l’impatto del movimento delle circa due milioni di tessere che compongono l’opera d’arte. Attraverso uno scrupoloso sistema di bendaggi e la copertura della parte frontale del mosaico con un tavolato di legno, i restauratori opereranno nella parte posteriore del mosaico.
Il restauro si avvarrà anche di complesse tecnologie all’avanguardia che sono finanziate dalla società per le telecomunicazioni TIM. Esse permetteranno di individuare su quali parti del mosaico operare e di seguire in contemporanea l’evolversi dei lavori.
Il restauro del “Mosaico di Alessandro” è supervisionato dall’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) mentre l’università del Molise e il Center for Research on Archaeometry and Conservation Science (CRACS) hanno seguito gli esami diagnostici dell’opera.
Il mosaico della Battaglia di Isso tra Alessandro Magno e Dario di Persia è custodito al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
