Comandante, maschi duri e sensibili
TORONTO – “Comandante” non è solo un’ulteriore prova che il cinema italiano sta riemergendo e rivendicando se stesso come leader nel cinema mondiale, ma evidenzia inavvertitamente alcune delle ideologie sociali fuorvianti di oggi, vale a dire lo sforzo di alcuni di “ammorbidire” – o privare della loro identità – i giovani uomini. Non più di qualche anno fa l’American Psychological Association ha introdotto nuove linee guida per lavorare con uomini e ragazzi, mettendo in guardia su come i tratti maschili “tradizionali” siano precursori di misoginia e aggressività. E chi potrebbe dimenticare quella sprezzante pubblicità della Gillette che per novanta secondi ha dimenticato di essere una pubblicità di prodotti per la cura personale maschile e ha continuato a rappresentare i ragazzi come terroristi squilibrati da cortile della scuola.
“Comandante”, co-scritto e diretto da Edoardo De Angelis e interpretato da Pierfrancesco Favino, trasporta lo spettatore in un’epoca in cui “i ragazzi [in guerra] avevano nel corpo più terrore che sangue, ma non si lamentavano, trasformavano la loro debolezza in una forza distruttiva. Potrebbero perforare lo scafo di un cacciatorpediniere con un’unghia”. Questi erano i nostri padri e nonni, uomini imperfetti come tutti gli altri, e non per i loro tratti maschili tradizionali, ma semplicemente per il fatto che erano umani.
Questo film del 2023, che ha inaugurato l’80a Mostra del Cinema di Venezia, è la vera storia di un comandante di sottomarino italiano e del suo salvataggio dell’equipaggio di una nave belga nel 1940. Il comandante italiano, Salvatore Todaro, disobbedisce agli ordini e porta l’equipaggio nemico sulla sua nave, costringendolo a navigare sopra la superficie, rendendo il suo sottomarino un bersaglio facile per tre giorni. Todaro, interpretato da Favino, sembra a prima vista stoico, risoluto e ogni aggettivo possibile per descrivere un uomo determinato e incrollabile. Ma la sua ‘corazza’ iniziano a dispiegarsi man mano che ognuno dei suoi uomini si ritrova in situazioni precarie, che richiedono che il suo ruolo di Comandante si trasformi in qualcosa di più vicino a un padre, un fratello e un amico. Dopo che il suo addetto alle munizioni viene colpito alla testa durante uno scontro a fuoco con i belgi e sopravvive, il Comandante mentre lo ricuce gli dice: “per il tuo coraggio puoi rivolgerti a me con l’informale ‘tu’ a patto che ci metti davanti ‘Comandante'”.
Questo tipo di uomo, secondo gli standard di alcuni oggi, è discutibile per la figura “malvagia, gerarchica e autoritaria” che credono rappresenti. Peggio ancora, i critici scriveranno cose come: “Mentre Comandante sembra progettato per far sentire bene il pubblico italiano con se stesso e la sua storia (il che va bene; è una cosa che fanno i film di guerra), le prospettive che quell’amo si estenda al mercato statunitense sembrano limitate” – Variety. Vale la pena notare che alcuni di questi critici americani non hanno avuto problemi a “sentirsi bene” per la storia inventata e speculativa nella docu-serie Netflix “Queen Cleopatra”, che ha scelto in modo controverso un’attrice nera per il ruolo della Cleopatra macedone. Il regista della serie, in un articolo di Variety, ha descritto con aria di sfida il casting come un “atto politico”. Al contrario, il messaggio di “Comandante” non è mai intenzionalmente politico o gratuitamente nazionalista, come alcuni sostengono. È tuttavia un inno senza scuse agli uomini e alle donne integri che non si giudicavano in base alla politica del loro tempo, ma all’umanità che li connetteva tutti. Per citare Todaro nel film: “Affondiamo la nave senza pietà, ma salviamo l’uomo”.
Massimo Volpe, autore di questa recensione, è un filmmaker e scrittore freelance di Toronto: scrive recensioni di film/contenuti italiani su Netflix