Canada

Via Erin O’Toole,
i tory alla ricerca
di un nuovo leader

TORONTO – Erin O’Toole non è più il leader del Partito Conservatore. A costringere l’ormai ex guida del partito al fatidico passo indietro è stato ieri il voto di sfiducia da parte di una larghissima maggioranza dei componenti del gruppo parlamentare: ben 73 deputati su 119 si sono espressi contro O’Toole e a favore di una nuova leadership, mentre solo 45 mp hanno ribadito la loro lealtà verso il leader conservatore.

Secondo i dettami del nuovo statuto che regola la vita interna del Partito Conservatore, per far dimettere il leader sarebbe bastata la maggioranza dei voti, quindi 60. Il risultato finale certifica quindi il livello di malcontento strisciante nei confronti di O’Toole. Un malcelato disagio, vissuto dalla base e dalla classe dirigente già all’indomani della sconfitta all’ultima tornata elettorale del 20 settembre.

Subito dopo le elezioni, si erano avvertiti parecchi scricchiolii nell’entourage di O’Toole così come all’interno del gruppo parlamentare. Ma per mesi nessun deputato aveva sfidato apertamente il leader, lasciando che fosse la base – cioè le singole sezioni locali del partito – a chiedere a più riprese che il destino del segretario tory venisse messo al voto. Contemporaneamente era stata la senatrice Denise Batters a portare avanti, dalla Camera Alta del parlamento canadese, una richiesta simile: per tutta risposta O’Toole aveva deciso di sbatterla fuori dal caucus.

Ora lo stesso caucus ha deciso di dare il benservito a O’Toole, alla guida del partito da diciassette mesi dopo aver vinto la corsa alla leadership contro Peter MacKay e dopo aver affrontato un’unica elezione, quella dello scorso autunno, che secondo i sondaggi della campagna elettorale avrebbe dovuto vincere.

Ma quali sono state le cause di questo finale già scritto all’interno della destra canadese? Nel rapporto presentato dall’ex deputato James Cumming, nel quale venivano indagate le potenziali ragioni della sconfitta alle urne, era emerso un forte malcontento verso O’Toole per aver cambiato costantemente idea su una lunghissima lista di temi, dalla Carbon Tax al registro sulle armi da fuoco, passando per temi etici e misure anti Covid.

A suggellare queste accuse, l’ultimo disperato tentativo da parte di O’Toole di rimanere in sella al partito: un appello accorato a tutti i deputati, con la promessa di “essere disposto a cambiare le policy richieste”.

Forse questa è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’ultimo elemento che ha spinto gli indecisi e votargli contro. Il piccolo drappello di ribelli, uscito allo scoperto lunedì sera, ha così ingrossato le sue fila, fino ad arrivare a 73 deputati che hanno defenestrato il leader.

Ora si apre un’altra pagina. Il primo passo sarà quello della nomina di un leader ad interim che dovrà traghettare il partito fino alla fine della prossima corsa alla leadership.

Il secondo passo, più importante, sarà invece quello di individuare le candidature più adatte che potranno sfidare il grande favorito alla successione di O’Toole, quel Pierre Poilievre che a Ottawa danno tutti come uno dei principali ispiratori della ribellione interna.

Altri due pezzi da novanta, i premier Doug Ford e Jason Kenney, hanno già accantonato l’ipotesi di una loro eventuale candidatura. Difficile che MacKay abbia l’intenzione di riprovarci, mentre ritornano in pista alcuni nomi che circolavano già in passato: Leslyn Lewis, Michelle Rempel Garner, Michael Chong, Brad Wall, Derek Sloan e ora anche il Vice ammiraglio Mark Norman.

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