Canada

Premier di lotta
e di governo,
Ford toglie la mascher(in)a

TORONTO – L’emergenza Covid sta davvero finendo in Ontario. O meglio, agli strascichi della pandemia si sostituisce un’incombenza ben più impellente, quella delle elezioni provinciali in programma il prossimo 2 giugno. In questi giorni abbiamo assistito a un sostanziale cambiamento nell’atteggiamento e nella comunicazione da parte di Doug Ford, che ha calato la maschera – e la mascherina – ha messo da parte l’aplomb istituzionale del leader moderato e pragmatico che ha guidato la provincia nella peggiore crisi sanitaria della storia dell’Ontario, per indossare i più consoni panni di capopopolo in vista dell’appuntamento alle urne.

Insomma, un premier di lotta e di governo, un leader capace, come durante la campagna elettorale del 2018, di parlare alla pancia degli elettori, attraverso quell’approccio demagogico che ciclicamente ha portato al potere un po’ ovunque populisti di varie aree politiche, da Donald Trump in giù.

La trasformazione fordiana degli ultimi giorni trova – almeno per ora – il suo punto più alto nella conferenza stampa di martedì, quando il premier ha – ufficiosamente – iniziato la campagna elettorale, sulla base di uno schema retorico che sarà il suo mantra nei prossimi cento giorni: durante la pandemia le decisioni che hanno avuto effetti positivi sono state farina del suo sacco, quelle che invece non hanno centrato il bersaglio, insieme alle restrizioni – le più contestate dalla gente – sono state assunte su indicazione del Chief Medical Officer di turno – prima Williams, poi Moore – e dei componenti del Comitato Tecnico Scientifico provinciale.

La scelta di portare davanti alle telecamere la sua situazione personale è stato poi un ulteriore elemento destinato a nutrire la narrativa del “premier delle persone comuni, quello che risponde al telefono a chiunque lo chiami e che lavora ventiquattrore al giorno, sette giorni alla settimana”: Ford ha raccontato di come durante la pandemia dentro la sua famiglia siano emerse posizioni diverse, a partire dalla figlia Krista, che in questi ultimi giorni ha manifestato a favore del Freedom Convoy e quindi, in definitiva, contro il padre.

Poi, la filippica sulle mascherine. “Sono stanco di indossare questa mascherina, dentro questa stanza non c’è nemmeno una persona che non sia stanca di indossarla”, è sbottato, condendo il tutto con un buona dose di retorica no vax che – visti i tempi che corrono – male non fa. “I vaccini? La terza dose? Con Omicron tante persone con tre dosi di vaccino sono state contagiate, il primo ministro Justin Trudeau è diventato positivo nonostante avesse fatto tre dosi di vaccino”.

Omettendo peraltro quello che lui stesso ci ha raccontato per mesi, e giustamente, visto che questa tesi è stata ribadita dai più autorevoli virologi internazionali e, più in generale, dalla comunità scientifica mondiale: contro Omicron il vaccino serve soprattutto per evitare le complicazioni da Covid che possono portarci all’ospedale, in terapia intensiva o, peggio ancora, al campo santo.

Ma tant’è. La pandemia sembra agli sgoccioli, la primavera arriverà presto così come la voglia di quella normalità che abbiamo perduto da due anni. Ecco allora che il leader conservatore veste i panni del traghettatore che ci porterà dall’emergenza alla fine della pandemia, con la speranza – almeno la sua – che gli elettori gli daranno ragione, come è giù successo quattro anni fa.

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